giovedì 16 gennaio 2020

I Giganti, la danza e il liceo (Madre Teresa di Calcutta)




I Giganti della montagna fu steso intorno al 1933, anche se a quanto pare il pezzo era stato concepito, in forma embrionale, negli anni venti. Come di consueto, questo dramma si basa su una delle Novelle per un anno. Questa volta si tratta di Lo storno e l'Angelo Centuno (1910). Inoltre un personaggio (il lampionaio Quaquèo) è ispirato alla novella Certi obblighi.

Il primo atto aveva un titolo a sé: I fantasmi. Pubblicato in alcune riviste (Dramma; La Nuova Antologia), fu rappresentato per la prima volta a Firenze, il 5 giugno 1937.
Il secondo atto fu dato alle stampe dalla rivista Quadrante. Il pezzo rimase comunque incompiuto a causa della morte del drammaturgo, avvenuta nel 1936. 
(Fonte: www.pirandelloweb.com)

Questo video realizzato dalla classe quinta del Liceo scientifico "Madre Teresa di Calcutta" di Casteltermini (2019-2020) esprime l’intenzione di mettere in scena la “distruzione” della poesia, intesa in senso più lato come arte e bellezza. Pirandello non riuscì a completare il terzo atto de “I Giganti della Montagna” che fu ricostruito in prosa, raccogliendo le indicazioni del padre morente, dal figlio Stefano Pirandello. Il fatto che l’opera sia rimasta incompiuta contribuisce a renderla straordinariamente affascinante e moderna, aperta a una pluralità infinita di letture. Abbiamo preso una parte minima dell’opera e l’abbiamo sviluppata graficamente, riverberando il frammento e facendolo diventare narrazione. Si legge nella ricostruzione di Stefano Pirandello: “Gli uomini hanno distrutto la poesia”. E noi quella distruzione abbiamo voluto sublimarla e renderla immagine. Come prima cosa abbiamo voluto rendere omaggio alla bellezza architettonica della chiesa di San Giuseppe, condividendo la convinzione del principe Miškin che “La bellezza salverà il mondo”. 

Poi abbiamo impreziosito la bellezza della chiesa barocca con l’incanto della danza di Gaia Pensato e della musica immortale di Vivaldi. Il tema è quello dell’arte che nella riflessione pirandelliana si ammanta di molteplici valori simbolici, uno per ogni espressione artistica della nostra terra, uno per ogni tormento dell’autore agrigentino. La bellezza danza ma deve lottare con delle “nere figure”, che le occupano lo spazio e cercano di coprirla al fine di non farla vedere. La sparizione dietro le nere figure rappresenta la distruzione della poesia e della bellezza. Le nere figure si moltiplicano e la stringono sempre di più costringendola a ballare in uno spazio sempre più ristretto, la bellezza fa l’ultimo tentativo alzandosi sulle punte. Le tenebre hanno il sopravvento e Ilse/poesia/arte/bellezza scompare dalla vista degli uomini, forse in attesa di tempi migliori per tornare.
Scrive Marianna Schifano su SikeliaNews: Si può cogliere anche una seconda allusione, anch'essa molto attuale: la Terra che viene distrutta dagli uomini.
Prezioso, se non indispensabile, l’apporto di Davide Sclafani, eccellenza castelterminese.

I Giganti della montagna si confronta direttamente con alcuni dei motivi essenziali dell’immaginario di Pirandello ma soprattutto con la sua ossessiva riflessione sulle diverse incarnazioni dell’arte come sintesi assoluta e autentica della vita. Si tratta di un’opera sulla quale l’autore agrigentino si arrovellò per molto tempo e che non riuscì a portare a termine. Ne “I Giganti”, attraverso una complessa costruzione mitica, mette a confronto l’immaginario lontano, che trae origine nell’infanzia dell’autore, con le contraddizioni proprie della condizione dell’arte nella società moderna. Non è chiaro cosa rappresentano i giganti forse la preponderanza del lavoro materiale estraneo e indifferente alla seduzione dell’arte. Dietro l’opera sembra  celarsi una sottile polemica contro il fascismo e contro la sua ossessione per le grandi opere, utili solo a dimostrare la tracotanza di Mussolini. Nella sofferta opera di Pirandello il piano simbolico e quello allegorico si fondono in un’atmosfera indistinta. Gruppi di personaggi si confrontano e oppongono sulla scena, affermando o negando l’arte come assoluto, sino ad arrivare alla distruzione dell’arte simbolicamente rappresentata da Ilse.


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