Il Santo – San Martino nasce in Pannonia (oggi in Ungheria), a Sabaria, da pagani. Viene istruito sulla dottrina cristiana ma non viene battezzato. Figlio di un ufficiale dell’esercito romano, si arruola a sua volta, giovanissimo, nella cavalleria imperiale, prestando poi servizio in Gallia. È in quest’epoca che si colloca l’episodio famosissimo di Martino a cavallo, che con la spada taglia in due il suo mantello militare, per difendere un mendicante dal freddo. Lasciato l’esercito nel 356, già battezzato forse ad Amiens, raggiunge a Poitiers il vescovo Ilario che lo ordina esorcista (un passo verso il sacerdozio). Dopo alcuni viaggi Martino torna in Gallia, dove viene ordinato prete da Ilario. Nel 361 fonda a Ligugé una comunità di asceti, che è considerata il primo monastero databile in Europa. Nel 371 viene eletto vescovo di Tours. Per qualche tempo, tuttavia, risiede nell’altro monastero da lui fondato a quattro chilometri dalla città, e chiamato Marmoutier. Si impegna a fondo per la cristianizzazione delle campagne. Muore a Candes nel 397.
In questa atmosfera in cui gli alberi lasciano cadere le foglie ingiallite, in cui le nuvole nascondono il sole e il paesaggio si prepara all’inverno, si trova nel grigiore un motivo per far festa. L’undici novembre, il giorno di San Martino, noi siamo soliti rendere omaggio al vino novello e utilizziamo questo pretesto per banchettare. Casteltermini conserva da tempo immemorabile questa usanza. Già un mese prima dell’evento, i ragazzi soprattutto cominciano a chiedersi “Che facciamo a San Martino?”. Qualunque cosa si organizzi l’importante è stare insieme, ritrovarsi intorno ad una tavola imbandita, mangiare ciò che la tradizione vuole e bere (‘Ncignari), si spera con moderazione, il vino novello. Immancabili la salsiccia, panuzzedda da intingere nel vino, oppure nella gustosissima variante ripieni di crema di ricotta, qualche castagna du siminzaru e un po’ di frutta.
Ogni gesto ha una sua parte nel rituale circolare che porterà al nuovo vino. Ogni tappa è importante e ogni punto segna una linea di partenza e di arrivo. Noi partiremo dall’imbottigliamento cosiddetto all’antica. Approssimandosi la vendemmia, i pochi fortunati che hanno ancora qualche litro nella botte, la vuotano e imbottigliano il vino. In realtà il vino, per via delle temperature, tendeva a guastarsi e questa operazione di imbottigliamento è stata anticipata a marzo (moderno). Gli imbottigliatori di cui parlo non sono quelli “nobili” che tappano con il sughero e si fanno stampare le etichette adesive. No, parlo degli enologi imbruttiti di casa nostra, quelli che imbottigliano rigorosamente nelle bottiglie di acqua Fiuggi con i tappi a corona. Di recente, nella scala del degrado che fa storcere il muso ai puristi, si è aggiunto l’uso delle bottiglie con chiusura meccanica “Jumper”, quelle nelle quali facevamo la Frizzina per capirci.
Per San Martino i papà, ma più spesso i nonni, sono soliti fare assaggiare ai bambini un goccino di vino, segnale questo che si può fare baldoria. Il vino rosso come affermava l’umanista Laguna, “riscalda i freddolosi, rianima gli esausti, nutre gli emaciati, risveglia gli ingegni sonnolenti, crea artisti e poeti, rallegra i malinconici, spiana la collera ai biliosi”.
Molti poeti hanno dedicato i loro componimenti al periodo di San Martino, Pablo Neruda, Gabriele D’Annunzio, Giosue Carducci.
Ma facciamo attenzione!
“Quando
il vino è nell’uomo, il senno è nel fiasco”.
Complimenti Michele alcune cose per me erano sconosciute, altri invece sono ricordi che avevo sepolto in fondo al cuore.Ricordi da bambina che sono sono riaffiorati leggendo queste righe.
RispondiEliminaCiò che custodiamo nel cuore non va mai via !
Grazie!!!
Grazie a te! Ho sbirciato il tuo blog è molto interessante! Spero un giorno di finirci recensito!
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