mercoledì 9 settembre 2020

Leonardo Vitellaro e la satira

 


“Nardu Vitellaru” è un insuperabile poeta satirico castelterminese. Non si può non rimanere affascinati dalla pubblicazione di Francesco Lo Bue: Leonardo Vitellaro e la sua poesia, Palermo, 1989, ma ancor più suggestionati da un tesoro nascosto di poesie inedite (ci sto lavorando!) con nomi e cognomi dei protagonisti politici, e non, della prima metà del secolo scorso. Leonardo Vitellaro è un attento osservatore di tutto il mondo castelterminese, spesso meschino  e ignobile nei suoi confronti. Un mondo che va dalla piccola gente, il fornaio che non gli vuole più fare credito, ai potenti con le loro ossessioni e le loro manie di grandezza. Maestro nel colpire con frasi incisive una situazione ridicola o la stupidità umana, Nardu Vitellaru dà alla sua poesia un sapore particolarmente sapido, che spesso però sfocia nell’amaro. I suoi componimenti sono fatti di allusioni, ritratti, attimi di vita reale, struggimento per la perduta tranquillità, per il suo essersi impoverito. La parte più intensa della sua opera, specie quella degli ultimi anni, si caratterizza per una forte vena di dolorosa malinconia che lascia intravedere nell’autore un’anima di poeta profondo e pensoso.

         Il Nardu satirico ha degnamente affondato le mani nella storia millenaria della satira, l’origine della quale è ancora assai dibattuta. Già per gli eruditi romani le origini della satira risultavano alquanto incerte e misteriose. In un luogo dell’Institutio oratoria Quintiliano intende rivendicare l’originalità del genere come prodotto tipicamente romano quando afferma: “satura quidem tota nostra est”, contrapponendo così la satira agli altri generi letterari di derivazione greca. Ma in realtà l’orgogliosa affermazione di Quintiliano solo in parte trova conferma in factis: la tendenza allo scherno e alla beffa, tipica degli Italici, l’Italum acetum (come lo definisce Orazio), fu indubbiamente una condizione necessaria e determinante per il sorgere della satira, ma una cosa è ammettere che l’humus culturale latino-italico si prestava a favorire certi generi letterari, altra è affermare che anche il seme è indigeno.

Infatti lo stesso Orazio riconnette la satira alla commedia antica dalla quale avrebbe ereditato soprattutto il carattere mordace e caustico, e alla poesia giambica, nella fattispecie a quella di Callimaco, da cui la satira avrebbe preso non solo lo spirito ma anche la varietà degli argomenti.

In definitiva, però, nonostante gli innegabili influssi culturali greci della satira, non possiamo oggi, in absentia di un definito genere satirico greco, non considerare, in pieno accordo con Quintiliano, che proprio i Romani conferirono alla satira lo statuto di genere letterario.

         Saldamente ancorata alla tradizione millenaria descritta, la satira costituisce la più graffiante delle manifestazioni artistiche. Basata su sarcasmo, ironia, trasgressione, dissacrazione e paradosso, verte preferibilmente su temi di attualità. Spesso nella azione satirica non c’è un bersaglio preciso, si rischierebbe la paralisi decisionale per sovrabbondanza di scelte! In quel caso se qualcuno si identifica in una poesia la colpa non è del poeta, la colpa è sua!

         Voglio inoltre ricordare che essendo la satira una forma d’arte, il diritto ad esercitarla trova riconoscimento nell’art. 33 della Costituzione Italiana, che sancisce la libertà dell’arte...        

PAX.

In nome di Leonardo (ovvero sull’impossibilità di fare satira a Casteltermini)

 



         Il Castelterminese non sa narrare, non sa descrivere le persone, il Castelterminese non ha una via di mezzo: o ti sparla o ti compiange. O ti chiama “ddu bastardu” o ti dice “ddu smischinu”! Siamo un'accolita di rancorosi sguinzagliata sui social, pronti a dircele di santa ragione, abbagliati dai post non vediamo più il mondo che ci circonda. Non vediamo un paese che sembra Dresda dopo il bombardamento, non sentiamo il rumore che ci sovrasta tutto il giorno, non percepiamo il puzzo di smog ed immondizia, il nostro interesse primario è scontrarci sui social, passare le nostre giornate a odiarci. Dapprima ci odiamo cordialmente, poi ci odiamo e basta.

         In questi tempi mi ha arrovellato il cervello una domanda: cosa avrebbe scritto sui social Leonardo Vitellaro? Cosa avrebbe scritto su Facebook un poeta nato nel febbraio del 1881? Leonardo Vitellaro è stato  un poeta castelterminese di altissima genia, i suoi versi contengono qualche notizia biografica, i suoi burrascosi rapporti con il fascismo, la sua nostalgia per il paradiso perduto, la fragile forza del suo animo inquieto, dai suoi versi emerge soprattutto, il suo spirito satirico. Sagace e caustico al limite dell’offesa, spesso metteva nome e cognome della persona alla quale indirizzava i suoi strali poetici, oggi non potrebbe farlo. Oggi sui social verrebbe linciato.

         L’irruzione dei social nella vita castelterminese ha accentuato pericolosamente la propensione all’offesa, al riconoscersi nelle parole di versi che possibilmente arrivano da un altro secolo... ma se la satira non fa arrabbiare che senso ha? E se non punge, non fa ridere! Dall’800 a Facebook, dal “Re Bomba” a “Charlie Hebdo”, la storia dell’umorismo è alimentata dalla satira al vetriolo, che in fondo è poca roba rispetto alla cattiveria che dilaga sui social, è lì che si manifesta l’odio delle persone “normali”.

         Bisognerebbe tenere conto che fare satira a Casteltermini è quasi impossibile. Nel nostro paese spesso la realtà supera ogni fantasia satirica. La realtà è più comica, paradossale e complessa di qualsiasi invenzione.

         Immaginate un paesino con 3 candidati a sindaco e 36 a consigliere comunale, praticamente più di un candidato in ogni famiglia, pensate alle schermaglie sui social, che raggiungono e superano il limite dell’offesa personale, diteci se vale la pena farsi coinvolgere in questo infernale agone, se vale la pena incontrare tuo cugino o un amico, che salutavi cordialmente, ed essere costretto a girarti dall’altra parte. E poi dopo le elezioni, cosa assurda, inventiamoci che ci siano stati un ricorso e un controricorso con due sentenze diametralmente opposte: una volta ha ragione l'uno, una volta l’altro. Si arriva addirittura alla sostituzione di un sindaco con il secondo qualificato, sulla legittimità di tutto questo glisso per manifesta incapacità a capire. Naturalmente in questa sede non c’è interesse ad individuare un responsabile, ammesso che ve ne sia uno solo. Mi interessa il fatto simpaticamente aberrante di avere avuto due sindaci in pochissimo tempo e tutto ad un tratto non averne neanche uno, “a chi assà a chi nenti!”. Giovannino Guareschi ne avrebbe tratto fuori un altro capolavoro sul modello di don Camillo e Peppone. 

Chiaramente ognuno dei due sostiene di avere ragione, mi sembra giusto. Del fatto che il paese, grazie a questo vuoto di potere peggiori sempre più le sue condizioni non interessa niente a nessuno. Siamo troppo presi dal capire chi dei due duellanti ha ragione e chi ha torto tra il sindaco uno o il sindaco due, senza tenere conto che qualcuno in cuor suo sperava che avesse ragione il sindaco tre! Arriva una lunga serie di commissari, qualcuno, chiamato all’ordinaria amministrazione, organizza “istituzionali” gite fuori porta e forse dentro i partiti. Arriva la sentenza 3, tutti a casa si vota! Ecco che Casteltermini tira fuori il suo miglior spirito satirico, 3 anni di limbo ed ecco che candidiamo 3 su 3 dei protagonisti della tornata precedente. Comico no?  Anche i due protagonisti che hanno dato vita alla querelle nei vari gradi di giudizio. Come diceva il nostro Emmanuele D’Urso in una sua brillante commedia: Sindaco si è perso tempo!

Chi dei due aveva torto? Non ci interessa più, questa vicenda però dimostra che è molto difficile fare satira a Casteltermini perché la realtà supera sempre la fantasia.

Albert Einstein però diceva: “Non possiamo pretendere di risolvere i problemi pensando allo stesso modo di quando li abbiamo creati.”