sabato 30 gennaio 2021

Il siculish e il Canada della famiglia Mancuso (2)

 


         Il siculish dicevamo... sono contento che, dopo la pubblicazione della prima parte, molte persone si sono prodigate a suggerirmi parole, a raccontarmi storie, hanno sottolineato come il siculish ha un forte sapore identitario. Identifica loro, gli emigrati italiani nel continente americano, mi ha scritto uno di loro: <<Storu non appartiene né ai Canadesi, che dicono store (stor), né ai siciliani, che dicono putia. È una parola nostra, perché noi non saremo mai pienamente canadesi e non siamo più solamente siciliani>>. I nostri emigrati sono davvero acrobati linguistici in equilibrio su un filo teso tra due mondi, il siculish, in questo carattere ibrido del loro esprimersi vedono un pregio anziché un difetto. Per questo il siculish sarà parlato sempre, perché  fa comunità e veicola un paradossale senso identitario: fatto di un'identità doppia e unica allo stesso tempo.

         Ritorna a fare da perno a questo mio piccolo contributo la storia dei fratelli Mancuso in Canada, la loro voglia di inserirsi nella società canadese, senza però dimenticare le proprie origini. Racconta la signora Gina Mangione che i fratelli Mancuso, assieme ad altri emigrati, avevano fondato un club, che con orgoglio etnico e culturale allo stesso tempo si chiamava PIRANDELLO. Avevano affittato un immobile a St. Clair dove riunirsi e organizzare feste. Da queste feste viene fuori lo straordinario documento (lo commenterò alla prossima puntata) che trovate alla fine di questo pezzo.

         Una cosa è certa i fratelli Mancuso si impegnavano quotidianamente per affermarsi in Canada, lavoravano indefessi e facevano grandi sforzi per imparare l’inglese, anche perché era una delle condizioni che gli permetteva di rimanere in Canada, non perdevano però il senso dell’umorismo e quando la ticcia (teacher) della scuola serale per lavoratori, che frequentavano per imparare l'inglese, diceva: That's door, Cinuzzo rispondeva: Cazzi d'oro! Suscitando l’ilarità di tutti. Simpatico anche l’esame di inglese di Cinuzzu Mancuso per ottenere la cittadinanza canadese.

         Dopo una breve permanenza a  Toronto in Canada, Cinuzzo era stato convocato dal Consolato per ottenere la cittadinanza Canadese.     Ovviamente non si sentiva linguisticamente pronto per affrontare le domande in inglese, per questo manifestò le sue perplessità al nipote Enzo, che stava in Canada già da qualche anno.

         - ...e chi ci voli, abbasta ca ci cali a testa, e a ogni dumanna ci dici: yes yes.

Disse il nipote Enzo, che si era reso disponibile ad accompagnarlo.

         Sembra la premessa di una barzelletta ma non è così, zio e nipote la mattina del colloquio indossarono il vestito migliore; si rasarono, entrambi emettevano un gradevole odore di dopobarba italiano; pettinati ed ottimisti si presentarono al colloquio.

         Entrati nell’ufficio in cui Cinuzzo, se il colloquio fosse andato bene, avrebbe ottenuto la sua cittadinanza canadese, il nipote, Enzo,  fece le presentazioni, dicendo nome e cognome e precisando che si trattava di suo zio. L'ufficiale del consolato chiese se Cinuzzo parlasse inglese, condizione senza la quale non poteva ottenere la cittadinanza.

- Yes a little bit! (un poco sì), rispose Enzo. Mentre Cinuzzo annuiva e timidamente sorrideva.

Infine l’ufficiale si rivolse direttamente a Cinuzzo.

- Are you Italian? (sei italiano?).

- Yes, Yes.

Did you come to Canada to look for work? (sei venuto in Canada per cercare lavoro?).

- Yes, Yes.

Cinuzzo diresse timidamente gli occhi verso il nipote, che gli diede un segno di approvazione con gli occhi, mentre con voce sommessa gli sussurrava la traduzione delle domande dell’ufficiale. Stava andando benissimo! Ma a quel punto l’ufficiale del Consolato rimprovera Enzo:

-Please, you don’t have to translate anything! Your uncle understands everything I’m asking him! (Per favore, non devi tradurre nulla! Tuo zio capisce tutto quello che gli sto chiedendo!).

Quindi Enzo dovette tacere…

- Are you willing to work night shifts? (Sei disposto a fare i turni di notte?).

- Yes, Yes.

- Have you ever had mental disorders?

- Yes, Yes!

- No, No! – Intervenne il nipote, mentre Cinuzzo lo guardava sbalordito.

- Ti addumanna si sì pazzu!

- No, no. – cominciò ad urlare Cinuzzo.

L’ufficiale  fece un sorriso, anche se non conosceva l’inglese, avrebbe concesso la cittadinanza a questo bravo signore italiano.

Per imparare l’inglese c’era tempo, c’era il siculish e c'era...





giovedì 28 gennaio 2021

La dieta di Rondelli: B come...


 

B come... Biscotti penserà qualcuno, qualche altro biologico... io penso Barattolo, sapete quei simpatici contenitori di vetro con il coperchio di latta? Bene, non ci crederete ma possono contenere di tutto, dal tonno al carciofino, dal fungo al pomodoro secco, dalla frutta sciroppata ai babà sotto-spirito, dalle alici sott’olio ai sughi pronti... non è che mi facciano così tanta simpatia, in realtà sono sempre unti, sporcano la superficie dove li appoggi e le mani, allora? E i rimproveri di mia moglie perché ho sporcato la tovaglia? Bene prima ne vuoto il contenuto, mangiandolo, poi elimino l’olio, magari facendo la “scarpetta” con il pane, dopo do un po’ di detersivo e li lavo... MISSIONE COMPIUTA, ora il barattolo, non è più un pericolo, è pulito e non sporca più! Non si tratta di fame... si tratta d’igiene, che avete capito?

Lettera A

Lettera B

Lettera C

Lettera D

Lettera E

Lettera F

martedì 26 gennaio 2021

Olocausto e Shoah - le parole sono importanti

 

Per definire il genocidio degli ebrei vengono utilizzati due termini: Olocausto e Shoah.

Il primo, utilizzato prevalentemente per il quarantennio successivo alla seconda guerra mondiale (1939-1945), vede la sua etimologia nel greco antico (olos tutto e causton brucia). Esso ricorda un tipo di sacrificio diffuso tra diversi popoli dell’antichità (tra cui greci, romani ed ebrei) che prevedeva che l’animale venisse completamente bruciato senza che la comunità potesse consumarne una parte.

Il termine Olocausto, scelto per l’immediato richiamo all’incenerimento dei corpi nei forni crematori, porta però con sé l’idea di sacrificio e di offerta alla divinità e restituisce un messaggio fuorviante e potenzialmente offensivo nei confronti delle vittime.

La maggior parte degli studiosi, quindi, considera più appropriato la parola Shoah, derivante dalla lingua ebraica e utilizzata nella Bibbia con il significato di catastrofe, disastro e distruzione. Il termine era già stato adottato nel 1951 in Israele con l’istituzione della giornata nazionale dedicata alla commemorazione dello sterminio (yom ha-shoah). In Europa, invece, è entrato a far parte del linguaggio pubblico, sostituendo appunto la traduzione dall’inglese di Holocaust, nella metà degli anni ‘80 grazie allo straordinario successo dell’omonimo film di Claude Lanzmann.

Oggi, appunto, Shoah definisce il progetto di sterminio nazista e viene utilizzato dagli storici con due accezioni.

La prima è strettamente riferita alla “Soluzione finale della questione ebraica” - espressione coniata dal nazismo per indicare il piano di eliminazione sistematica degli ebrei che vivevano su suolo tedesco o occupato dalla Germania - teorizzata per la prima volta nel 1941, discussa durante la conferenza di Wannsee nel 1942 e portata avanti fino al termine della seconda guerra mondiale nel 1945

La seconda accezione, invece, oltre allo sterminio, include anche la legislazione antiebraica, applicata in Germania nel 1935 con le leggi di Norimberga e in Italia nel 1938 con le leggi razziali.

[...]

La Shoah si inserisce all’interno di una storia di antisemitismo di lungo corso, basata su pregiudizi e ostilità millenarie che si sono tramandati nel corso del tempo. Un terreno antico e già fertile, quindi, a cui il nazismo ha aggiunto una sua impostazione biologico-razzista. Secondo le leggi di Norimberga, infatti, venivano considerati ebrei o di sangue misto tutti coloro che avevano almeno un nonno ebreo, indipendentemente dal fatto che si considerassero ebrei o che si fossero convertiti ad altre religioni.

Seguendo questa impostazione, i nazisti si proposero la distruzione totale e indiscriminata di ogni cittadino classificato di razza ebraica, considerando gli ebrei un pericolo per la sicurezza nazionale e la purezza della razza ariana.

Non bisogna dimenticare che nell’obiettivo di una totale purificazione razziale rientrava - secondo l’ideologia nazista - anche l’eliminazione di Rom, Sinti, omosessuali, testimoni di Geova che furono infatti deportati nei campi di concentramento e sterminio.

Fonte: /www.scuolaememoria.it/site/it


domenica 24 gennaio 2021

NICOLÒ CANNELLA, PICCOLO CONTRIBUTO ALLA MEMORIA

 


Nella notte fra il 14 e il 15 gennaio 1968 un violento terremoto (magnitudo 6,4 della scala Richter) sconvolse una vasta area della Sicilia Occidentale compresa fra le province di Agrigento, Trapani e Palermo. La zona più colpita fu la Valle del Belice.

Quattro paesi rimasero completamente distrutti: Gibellina, Poggioreale, Salaparuta, Montevago. Le vittime furono 370, un migliaio i feriti e circa 70mila i senzatetto. Gli altri centri che subirono danni ingenti furono Menfi, Partanna, Camporeale, Chiusa Sclafani, Contessa Entellina, Sambuca di Sicilia, Sciacca, Santa Ninfa, Salemi, Vita, Calatafimi, Santa Margherita di Belice, Menfi.



La terra tremò in piena notte, provocando il panico nella popolazione e rendendo estremamente complessi i soccorsi. I primi ad accorrere furono i carabinieri della zona. «Nel caos generale», raccontò la rivista dell’Arma “Il Carabiniere”, «ufficiali, sottufficiali e carabinieri, nella buia e gelida notte, muovendo tra il nevischio, il fango e le macerie, misero con slancio ed altruismo le loro impari forze al servizio dei tanti, dei troppi, che chiedevano aiuto e protezione, prodigandosi per tutti tranne che per le loro famiglie, egualmente sinistrate, e per le loro caserme, pure crollate.

Nel quadro di una situazione senza precedenti, tutti i carabinieri della Legione di Palermo, dal colonnello comandante al più giovane carabiniere, (che forse era proprio il nostro Nicolò NDA), rimasero, in quelle prime lunghe terribili ore, a sostenere le popolazioni colpite, a recuperare i bambini abbandonati, a soccorrere i feriti». Nelle settimane successive l’impegno dell’Arma dei Carabinieri fu costante e massiccio, con l’impiego di quasi 2.500 uomini, 6 elicotteri, 24 mezzi speciali (ambulanze, autobotti, autogru e autoradio), 90 autocarri, quasi 200 autovetture. L’Arma mise a disposizione dei sinistrati tende, cucine da campo, materiale sanitario, materassini pneumatici, coperte da campo e molti uomini.



Il destino era in agguato, la situazione pericolosa, purtroppo una serie di nuove scosse mieté vittime anche tra i generosi soccorritori. Fra queste ci fu anche  Nicolò Cannella, morto a Gibellina insieme a quattro vigili del fuoco mentre si prodigava nell’opera di recupero di chi era rimasto sepolto sotto le macerie.

Nicolò era rientrato a Palermo dopo 10 giorni consecutivi passati ad aiutare la popolazione colpita dal terremoto, non resistette a lungo e fu lui stesso a chiedere di ritornare a Gibellina, dopo poche ore raggiunse quelli che gli sarebbero stati compagni nella tragedia. Sapeva quello che aveva lasciato: gente sconvolta, bambini che non riuscivano più a trovare i loro genitori e che forse non li avrebbero ritrovati mai più, feriti e uomini imprigionati sotto le macerie. Sapeva che era una corsa contro il tempo e non si fece piegare né dalla stanchezza e né dallo scoramento. Il senso del dovere e l’umana pietà erano voci che urlavano dentro la sua nobile coscienza e gli davano una forza che superava le capacità umane. Voleva raggiungere i suoi compagni di sacrificio: Alessio Mauceri, 53 anni, originario di Ispica, nel ragusano, era un brigadiere dei vigili del fuoco di Palermo che si era già distinto durante i soccorsi internazionali avviati dopo il sisma che qualche anno prima aveva colpito la Grecia; Giovanni Nuccio, 20 anni, era un vigile del comando dei vigili del fuoco di Palermo; Savio Semprini, 30 anni, vigile temporaneo del comando provinciale di Modena; Giuliano Cartuan, 20 anni, vigile del fuoco in servizio di leva presso le scuole centrali antincendio di Roma-Capannelle.


Il 25 gennaio 1968, alle 10,57 una scossa tellurica dell’ottavo grado della scala Mercalli, li sorprese tutti assieme mentre, così come facevano da ben 11 giorni di fila, fra le vie pericolanti di Gibellina erano impegnati a mettere in sicurezza persone e cose. Morirono travolti dalle macerie.

Donare la vita è il massimo del sacrificio che una persona possa fare, Nicolò Cannella e i suoi quattro compagni di martirio lo hanno fatto e tutti noi non lo dimenticheremo mai.

Nicolò è stato insignito della Medaglia d’Oro al Valor Civile con la seguente motivazione: “In occasione di disastroso movimento sismico, che aveva provocato numerosissime vittime, oltre ad ingenti danni, si prodigava per più giorni, con coraggio ed abnegazione non comuni, in estenuanti e rischiose operazioni di soccorso in favore di popolazioni colpite. Sorpreso da nuova violenta scossa tellurica, noncurante del grave pericolo incombente, continuava la propria azione incitando a viva voce gli altri soccorritori con lui operanti a porsi al riparo, finchè, travolto dalle macerie di ruderi circostanti, faceva olocausto della vita. Esempio mirabile di altissimo senso del dovere e di elette virtù civiche. Gibellina (TP), 25 gennaio 1968.

Alla sua memoria è intitolata, dal 3 maggio 2005, la Caserma sede del Comando Stazione Carabinieri di Casteltermini

Il Cav. Uff. Vincenzo Firrera (Casteltermini 15 agosto 1938 – Roma 1 marzo 1995), persona stimata, umile, riservata nel 1969 propose al Sindaco di Roma di intitolare di una strada della Capitale all’eroico carabiniere castelterminese Nicolò Cannella, caduto nella catastrofe di Gibellina, sepolto dalle macerie mentre era intento a salvare vittime superstiti del terremoto, proposta accolta e concretata nel 1970 con la nascita nel nuovo quartiere Spinaceto, in cui è stata posta la targa “Largo Nicolò Cannella”, con notizia ampiamente diffusa dalla stampa romana.



Da qualche anno a questa parte, pandemie permettendo, il sodalizio sportivo ASD Airone di Casteltermini organizza il Trofeo podistico memorial Nicolò Cannella, un modo per conservare la memoria dell’atto eroico e dell’estremo sacrificio nostro concittadino e per farlo conoscere alle future generazioni.



sabato 23 gennaio 2021

...ma che lingua parli? Il siculish! (1)


Leggendo l’amaro, ma allo stesso tempo esilarante, racconto di Leonardo Sciascia “La zia d’America” ci si imbatte in un curioso slang, parlato proprio dalla zia e dai familiari di lei. Un impasto linguistico tra l’inglese, quello un po' corrotto degli americani, e il siciliano dei nostri emigrati. Ne ho parlato subito con la mia collega di inglese Linda Mancuso e con Michele Segretario, etnologo che svolge attività di ricerca a UC Berkeley negli Stati Uniti.. Entrambi mi hanno fornito materiale curioso ed interessante, ma andiamo con ordine...

Siculish – ovvero l'adattamento al siciliano di parole ed espressioni a opera degli immigrati siciliani in America. Si tratta quindi di una lingua adattativa e trasformativa, spinta dalla necessità di comunicare ad ogni costo. Scrive Eleonora Lombardo: «Cu avi lingua passa lu mari», dice la saggezza popolare e il siculish è la risposta creativa dei siciliani d'America che, tra l'esiliarsi nella loro lingua o consegnare una resa totale all'inglese, hanno scelto di inventare un ibrido, uno slang comico e goffo che ha consentito di passare non solo il mare, ma addirittura l'oceano.

In realtà si tratta di una necessità, i primi emigrati in America non parlavano neanche l’italiano, come afferma Nancy Carnevale nel suo A new Language, a new world[1]-, di conseguenza si sono trovati isolati non solo dagli americani, ma anche dai loro stessi connazionali. È nata così la necessità di  sviluppare un proprio idioma, un dialetto italo-americano, che ha permesso loro di comunicare sia con gli americani sia con gli altri italiani, formando ed esprimendo una nuova identità. Abbiamo detto comunicare e non parlare, che presuppone attenzione alla pronuncia, all'intonazione, all'impronta stilistica o ambientale, comunicare lo stretto necessario per sopravvivere.

Alimentazione, ambiente domestico e lavorativo sono quindi le tre aree tematiche maggiormente contaminate di siculish. Il ritorno degli emigrati in Sicilia ha permesso una seconda contaminazione: alcune parole siculish entrano a far parte a pieno titolo del dialetto di alcuni paesi; per esempio sichinenza, penuria, dall’inglese seconds-hands, seconda mano; presupponendosi forse che chiunque acquisti oggetti di seconda mano non può permetterseli nuovi. In aggiunta ai ritorni,  molte parole, Sciascia lo mette magnificamente in evidenza, entrano in Sicilia attraverso gli intensi scambi epistolari. Poco a poco termini come lofio, da loafer: lazzarone, cominciano a fare parte integrante del nostro dialetto.

Da dove viene fuori questa capacità di adattamento e trasformazione? È possibile che le varie lingue dei dominatori che hanno popolato il territorio siciliano, stratificandosi, abbiano determinato la capacità di rimodellamento, a volte di vera e propria storpiatura, delle parole provenienti dalle  lingue degli stessi dominatori. Pensiamo a parole come abbuccàri (capovolgere o versare) viene dal catalano e spagnolo avocar; taliata (modo di guardare) dal catalano taliar-taiare (guardare da luogo alto); gileccu dalla parola turca yelek giubbone di panno con maniche a tre quarti, usato dagli schiavi sulle galere; catusu dall’arabo qadus, gronda di scolo; Accattari dal francese acheter, comprare. Insomma il popolo siciliano, nel corso dei secoli, ha sempre trovato un sistema di alterazione delle parole che le rende familiari, conformandole al suono della lingua siciliana, aggiungendo e creando senso. Il siculish potrebbe essere figlio di questa capacità di adattamento linguistico sviluppata nei secoli, del sabir ho già detto in un precedente contributo, oppure potrebbe essere una forma di resistenza dal basso: «Non ci arrendiamo alla vostra lingua! Ci prendiamo le parole e le ammantiamo dei nostri suoni!».  Troppo romantico? Forse...

Il Castelterminish di Fofina e Cinuzzu- La professoressa Linda Mancuso mi ha fornito un elenco di parole siculish, che potete leggere di seguito, utilizzate dai suoi nonni: Raffaela Vaccaro (conosciuta come ZZa Fofina Mancuso) e Vincenzo Mancuso (zzi Cinuzzu Mancuso) - Emigrati in Canada negli anni ’60. Oltre alle parole mi ha raccontato di un simpatico episodio, che leggerete nella seconda puntata di questo mio contributo, accaduto a suo nonno.

Pùscia                Push                              Premi

Trocchetto        Truck                             furgoncino

Cicchinisùp       Chicken soup                brodo di pollo

Doghetto            Dog (Little dog)           cagnolino

Màscina             Washing  Machine       lavatrice

U storu               the store                       negozio di generi alimentari

 chek                   cake                             torta

zzocchè               it’s ok                          va bene

spirìpis               spare ribes                   costolette di maiale

u friggi               freezer                         congelatore

frinci fràis         French fries                 patatine fritte

caciàpp              ketchup                       salsa di pomodoro

scechinbechi    shake in bag               preparazione di fusi di pollo 

                                                        (si agitano in un sacchetto con aromi e pan grattato)

gingirella        ginger ale                     gazzosa

beca                bag                               busta/sacchetto per la spesa

màrcatu         market                          ingrosso di frutta

Leggi la seconda puntata: Il siculish e il Canada della famiglia Mancuso (2)



[1] Carnevale, Nancy C. A New Language, A New World: Italian Immigrants in the United States, 1890-1945. University of Illinois Press, 2009. Project MUSE. muse.jhu.edu/book/18497

giovedì 21 gennaio 2021

La dieta di Rondelli: A come...

 


La dieta secondo Rondelli (L’alfabeto)

È innegabile qualche chilo l’ho preso, qualcosa è sfuggita al mio controllo... come dite? La forchetta? vero ma anche il cucchiaio, qualche piatto, i panini, la birra... sì sì la pizza, il Sirah, Mc Donald, Burger King, Totò Cipolla, Mordi e Fuggi Zio Ciccio, che mondo sarebbe senza di loro? Allora ho deciso di mettere nero su bianco l’alfabeto della mia dieta, tutte quelle parole che poco alla volta diventano ossessione, reiterate, ripetute, odiate e meditate. Tutto quello che mi dico e che mi dicono, le “parole sante”... In questo giorno infaustovoglio iniziare questa riflessione…

A come... Alimentazione? Beh sarebbe logico. Alimento anche... ma nella mia testa la prima parola che mi viene in testa è ANCORA? Che quasi sobbalzo. La scena è questa: siamo a tavola tutti hanno completato il pasto, io indugio sull’ultimo pezzetto di pane. Il pane da solo? No, gli affianco l’ultima fettina di salame. Ma ne è rimasta un’altra fetta nel piatto. Il salame solo senza il pane pare brutto... mi procuro un altro pezzetto di pane. Però cosi rimane un ulteriore pezzetto di pane superstite... il salame è finito ma dall’altro lato si illumina un pezzetto di parmigiano, non ci arrivo mi devo alzare... è a questo punto che mia moglie mi urla: ANCORA? Rinuncio all’ultimo pezzetto di parmigiano e trangugio al volo il “panuzzo” che sono riuscito ad abbrancare... e penso ad una famosa canzone di Edoardo De Crescenzo: Ancora... ancora…

Aspetto che tutti se ne vadano e ritorno come un falco sul parmigiano! 
Ancora?
Mia moglie aveva capito tutto...

mercoledì 20 gennaio 2021

Decadenza e caos...

“L’attuale caos politico è legato alla decadenza del linguaggio” - così George Orwell nel 1946 (in “La politica e la lingua inglese”, ed. it. Garzanti 2021, p. 65). Testo originale: “The present politically chaos is connected with the decay of language”. Io concordo.

Mentre facevo il mio solito giro mattutino su twitter mi sono imbattuto in questo twit del teologo Vito Mancuso che, riprendendo George Orwell, mette in connessione il caos politico che stiamo attraversando con la decadenza del linguaggio.

Avevamo parlato, in un precedente contributo, dellinversione dell’Effetto Flynn, sostenente che il livello d’intelligenza misurato dai test diminuisca nei Paesi più sviluppati. Molte possono essere le cause di questo fenomeno. Una di queste potrebbe essere proprio l'impoverimento del linguaggio.

Decadenza e impoverimento del linguaggio, decadenza e contrazione dell'immaginario, decadenza e... Treccani come sempre!

decadènza s. f. [der. di decadere, sull’esempio del fr. décadence]. – 1. Il decadere; progressiva diminuzione di prosperità, floridezza, forza, autorità e sim., in una persona (soprattutto con riguardo al valore artistico o alle facoltà creative), in un popolo, in un’istituzione, in una civiltà, ecc.: ddi uno scrittoredi un artistadi un cantantela ddella civiltà grecala ddegli studîdella scuolaun paese in d.; l’agricoltural’industriail commercio era in d.; usanzetradizioni che vanno in decadenzaperiodo della d., nella divisione scolastica della letteratura latina, quello compreso all’incirca fra il 3° e il 4° sec. d. C. (anche assol.: gli scrittorila poesia della decadenza). 2. Nel passato, perdita della nobiltà per il mancato pagamento delle imposte specificate nelle lettere patenti di concessione, di confermazione o di riabilitazione. 

La decadenza è quindi in strettissima connessione con l'impoverimento del linguaggio. Come combattere questa decadenza?

Con i libri! I libri offrono numerosi spunti per stimolare l’apprendimento del sotto tanti punti di vista

La lettura di un libro favorisce e stimola l’ascolto e l’attenzione, pre-requisito fondamentale per ogni tipo di attività legata al sapere.

La lettura di storie stimola la curiosità, la fantasia, la capacità di immaginazione e di astrazione.

La lettura e la narrazione favoriscono la comprensione verbale e permettono di apprendere di allargare il proprio lessico in modo naturale.

Se ci fu un periodo che non può essere definito decadente quello fu l'Illuminismo e il  simbolo della filosofia illuministica fu un libro - se così si può dire - più libro di tutti gli altri: l’Enciclopedia, o Dizionario ragionato delle scienze, della arti e dei mestieri, pubblicato dal 1751 al 1772 sotto la direzione di Denis Diderot e Jean-Batiste Le Rond d’Alamert. 

...e allora se libro deve essere vi consiglio di leggere questo:


Socrate, l’educatore. Buddha, il medico. Confucio, il politico. Gesù, il profeta. Risalendo alle antiche tradizioni spirituali e filosofiche dell’umanità, Vito Mancuso individua nel pensiero di queste quattro figure gli insegnamenti ancora validi e preziosi per noi, uomini e donne di oggi.

«I quattro maestri nel loro insieme prefigurano un itinerario. La meta è il maestro più importante: il maestro interiore, il quinto maestro».

Socrate, l’educatore. Buddha, il medico. Confucio, il politico. Gesù, il profeta. Risalendo alle antiche tradizioni spirituali e filosofiche dell’umanità, Vito Mancuso individua nel pensiero di queste quattro figure gli insegnamenti ancora validi e preziosi per noi, uomini e donne di oggi. La loro parola diventa così una guida decisiva per percorrere con maggiore consapevolezza gli impervi sentieri della nostra esistenza, convivere con il caos che ogni giorno sperimentiamo, e tracciare una strada nuova verso l’autentica pace interiore. Perché interrogando questi quattro grandi con sapienza e curiosità, e avvicinando a noi il loro profondo messaggio, saremo in grado di risvegliare il maestro da cui non possiamo prescindere: la nostra coscienza, il quinto maestro. Per diventare così consapevoli che la forza per definire le nostre vite è dentro di noi, e che possiamo essere noi stessi i creatori della nostra felicità.