sabato 28 marzo 2020

Vecchia, vituperata e amatissima lezione frontale

 …ma misi me per alto mare aperto

Lo devo ammettere, non mi sarei mai aspettato, neanche nei miei peggiori incubi, che accadesse una tragedia di questo livello. Il coronavirus, con il suo carico di disperazione e di paura, di decreti e restrizioni, ha sconvolto alla radice non solo la mia persona ma anche il mio essere insegnante, le mie (poche) certezze hanno cominciato a vacillare e poco a poco sono precipitato nel più profondo caos.

Per spiegarmi meglio utilizzerò, cosa per me non usuale, le parole di papa Francesco:

“Siamo stati presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e furiosa. Ci siamo trovati su una stessa barca fragili e disorientati, ma allo stesso tempo importanti e necessari, chiamati a remare insieme e a confortarci a vicenda. Su questa barca ci siamo tutti”.

In preda allo sconforto ho dovuto abbandonare il porto sicuro della mia aula, fatta di rassicuranti banchi, cattedra, lavagna di ardesia e LIM, per cominciare a navigare a vela in mezzo a venti mutevoli nel grande mare della DAD (didattica a distanza). Ma come dice Benazir Bhutto: “Una nave in porto è al sicuro ma non è per questo che le navi sono state costruite”, quindi con timore, tremore ma anche entusiasmo e curiosità ho varato la mia navicula e ho preso il largo.

Non vorrei essere frainteso, senza menar vanto da nerd, in parte ero preparato all’avvento della DAD, fortunatamente posso affermare di non essere totalmente sprovveduto: sono in grado di costruire un sito web, gestisco un blog personale (rondellisono.blogspot.com); ho ideato e poi per molti anni gestito un blog di informazione e cultura di un certo successo (sikelianews.it); ho attivo un canale Youtube, frequento quotidianamente  e dinamicamente il mondo social.  Mi tengo aggiornato navigando nel web molte ore al giorno. Ogni mia lezione non può prescindere da un portatile collegato alla rete e alla LIM; i miei alunni sono in continuo collegamento con me e interagiamo da anni su WhatsApp e Facebook, in gruppi “alunni/Rondelli” esclusivi, ai quali sono affezionato fino alla gelosia. Non rifuggo dai nuovi approcci didattici e mi piace districarmi tra Socrative, Nearpod, Padlet, Edmodo, Moodle,  Google Cloud Team, Zoom e tanto altro…

…esta selva selvaggia e aspra e forte

Nonostante tutto quello già detto, all’annuncio della chiusura delle scuole sono andato nel panico. Un conto è il sapere teorico, utilizzato en passant per fornire ulteriori stimoli alla lezione, un conto è che la DAD diventa il tutto della situazione!

Mi sono ritrovato impegnato dalle sette del mattino alle nove di sera per creare contenuti efficaci, costretto a trasformare i vecchi PowerPoint in video, ad aggiungere a questi una traccia audio per renderli più “digeribili”, indaffarato a registrare lezioni, per poi, dopo 25 minuti di soliloquio, accorgermi di non avere attivato la telecamera, obbligato a cercare di discernere nel mare magnum delle lezioni di Youtube quelle più adatte, ancora costretto a creare continuamente test di feedback utili per capire se gli alunni mi hanno seguito, ma tediosi, mortalmente noiosi. Infine ho deciso di realizzare dei sondaggi per cercare di scandagliare l’umore degli alunni, per scoprire che l’aula manca a loro più di me, che baratterebbero mille volte la comodità dello stare a casa con una noiosa lezione di latino.

In questo frangente mio obiettivo principale è stato di non sovraccaricarli, cercare di restare ancorato alla programmazione progettata, cambiando i mezzi della trasmissione e delle verifiche, se verifiche si possono chiamare. I ragazzi si lamentano delle molte ore passate in video, come se prima non passassero il tutto tempo “attaccati” al cellulare. Però oggettivamente si deve tenere conto anche dell’esigenze delle famiglie, spesso con più figli e a volte anche con genitori insegnanti, famiglie impegnate in dirette più del Viminale. Le “dirette” sono fondamentali, servono a non perdere il contatto con gli alunni… ma più prosaicamente a portare avanti il programma. E poi hanno un’altra fondamentale caratteristica, permettono agli insegnanti di non essere sradicati dalla vecchia vituperata, solo a parole, in realtà amatissima lezione frontale. Mi sono ritrovato in mezzo a sgomitate virtuali quando, su suggerimento degli stessi alunni, ho provato, in qualità di coordinatore, a regolare il numero delle dirette, alla fine c’è sempre qualcuno “anarchico” che fa di testa sua non sentendo le ragione di nessuno, del resto la sensibilità è una forma d’intelligenza, è inutile cercare di ottenerla da chi ne è privo, sicuramente brillerà in altre cose. Da questo caos però è venuto fuori un vincitore, o meglio una vincitrice: “la lezione frontale”!

…ritorna ’n dietro e lascia andar la traccia

La lezione frontale? L’icona della didattica tradizionale? Tradizionale come la cucina di casa nostra? Che fare? ritornare indietro e lasciare alla moda il mal pensare della lezione frontale? Dimenticare la tanta retorica pseudo innovatrice di alcuni anni a questa parte?  «La lezione frontale è mera trasmissività e ripetizione del sapere!», «la lezione frontale veicola il sapere in forme autoritarie», «la lezione frontale è superata», «esistono alternative efficaci alla lezione frontale» «la lezione frontale trasmette solo conoscenze, come la mettiamo con le competenze?» . Siamo sicuri? Perché allora in un momento come questo, un momento nel quale tutte le “alternative” sarebbero utili, organizziamo webinar che altro non sono che lezioni frontali in salsa tecnologica? Forse perché i computer non insegnano ai ragazzi, a farlo sono gli insegnanti? A mio sommesso parere, e le difficoltà degli ultimi giorni lo dimostrano, la lezione frontale è la via più sintetica, rapida ed efficiente per spiegare il contenuto di un argomento. Riguardo a competenze e conoscenze scrive Daniele Lo Vetere in articolo dall’evocativo titolo Difesa della lezione frontale: «Sono assolutamente convinto che il mio compito, in quanto insegnante di letteratura, non sia quello di produrre studenti che a dieci anni dalla fine della scuola ricordino la teoria dei due soli del Monarchia o l’ossessione per il nido di Pascoli (per quanto, se si ricordassero anche quelle…). Credo che il mio compito sia quello di mettere i futuri adulti che mi stanno ora davanti come studenti nelle condizioni di interpretare testi ed esperienze extrascolastici di ogni genere: testi di alta letteratura, canzonette, pubblicità, blockbuster, discorsi politici. […] So però per esperienza che senza un corposo bagaglio di conoscenze, dalla cui quantità, data la compresenza di altri fattori, può derivare la qualità, l’attività dell’interpretazione non può che ricadere su se stessa, diventare tautologica, chiusa in un’asfittica e coattiva identità di vedute, preda della prima idea, sciocca, che viene in mente».

Non voglio negare il mio percorso di formazione digitale, se questa terribile situazione ha un merito è quello di avere dato una fortissima spinta in avanti alle competenze digitali di tantissime persone, ma permettetemi di dire che la prima cosa che farò quando varcherò la soglia della mia classe sarà riabbracciare i ragazzi stappando una lezione frontale d’annata!

martedì 17 marzo 2020

SAN PATRIZIO, IL PATRONO DELL’IRLANDA, DEI PAZZI (E DEGLI INGEGNERI)



San Patrizio è il patrono dell’Irlanda, vissuto tra il 385 e il 461 e festeggiato il 17 marzo, data della sua morte. Di origini scozzesi, il suo vero nome era Maewyin Succat. A sedici anni fu rapito dai pirati irlandesi e venduto come schiavo a re Dalriada, sovrano di un regno che allora comprendeva parte della Scozia e dell’Irlanda.
Fuggito dalla corte, il giovane si fece diacono col nome latino di Patrizio e divenne poi vescovo. A lui papa Celestino I affidò il compito di evangelizzare le terre irlandesi: il futuro santo lo svolse con grande impegno, favorendo la contaminazione tra elementi cristiani e celtici pagani.
San Patrizio è collegato anche al simbolo dell’Irlanda, il trifoglio. Per spiegare agli irlandesi la Trinità (un unico Dio, in tre Persone e non tre Dio), Patrizio utilizzò proprio il trifoglio.

PERCHÉ SI DICE “POZZO DI SAN PATRIZIO”? Si racconta che Patrizio pregasse in una caverna molto profonda nell’isolotto lacustre di Lough Derg, nella contea irlandese di Donegal. Secondo la leggenda, talvolta spingeva i fedeli ad avventurarsi in essa perché potessero vedere con i loro occhi l’ingresso dell’inferno.
Oggi con l’espressione “pozzo di san Patrizio” si indica una riserva misteriosa e infinita di ricchezze.
PERCHÉ IN IRLANDA NON CI SONO SERPENTI? Leggenda vuole che sia stato proprio Patrizio a scacciare i serpenti dall’Irlanda. Nel 441, al termine di un digiuno di 40 giorni e 40 notti sul monte Croagh Patrick, il santo avrebbe scagliato una campana da una montagna, facendo fuggire per il frastuono tutti i serpenti…
Più probabilmente, però, l’assenza di questi rettili è dovuta all’ultima era glaciale, terminata circa 12.000 anni fa. Per gli scienziati, il freddo avrebbe tenuto lontano i serpenti fino al disgelo, quando l’Irlanda era ormai diventata un’isola. A quel punto, coi mari circostanti, per loro sarebbe stato impossibile raggiungerla. Gli studiosi però non sono tutti d’accordo sulla situazione precedente all’era glaciale: per alcuni i serpenti non ci sarebbero mai stati (nessun fossile è stato trovato), per altri si sarebbero estinti a causa del  freddo.