Michele Rondelli
Quaderno di appunti e abbozzi annotati senza nessun ordine...
sabato 20 novembre 2021
sabato 9 ottobre 2021
L'ultima fatica di Roberto Mistretta: "Don Fortunato di Noto (La mia battaglia in difesa dei bambini)"
Non si può avere idea
della vastità del fenomeno pedofilia, neanche lontanamente idea. Il fenomeno
più odioso che l’essere umano riesce a generare si avvale del silenzio: non
denunciano le vittime, che in alcuni casi arrivano addirittura ad autocolpevolizzarsi;
spesso non denunciano i genitori per la vergogna o perché è coinvolto qualche
parente intimo; non denunciano gli amici e i parenti. La cosa importante è
capire che il silenzio è complice, più
facciamo silenzio e più siamo conniventi. Per questo vi invito a leggere:
Roberto Mistretta, Don Fortunato di Noto (La mia battaglia in difesa dei bambini), Milano,
Edizioni Paoline, 2021.
Sull’autore Roberto Mistretta ho detto tanto in un articolo
dal titolo Roberto Mistretta... il Noir dietro
l'angolo, che volendo potreste leggere direttamente da questo
link, vi scrivo allora l’indispensabile: Roberto
Mistretta vive e lavora a Mussomeli (CL). Laureato in scienze della comunicazione,
scrive sul quotidiano La Sicilia.
Autore di una serie di romanzi gialli, nel 2019 ha vinto il Premio Tedeschi Giallo Mondadori. Ha al suo attivo
anche volumi di impegno sociale. Con Paoline ha pubblicato la biografia Rosario
Livatino, l'uomo, il giudice, il credente (2015).
Fortunato Di Noto
entra in seminario diocesano di Noto nel settembre del 1984. Successivamente
studia filosofia e teologia presso la Facoltà "San Paolo" di Catania,
quindi completa la sua formazione alla Pontificia Università Gregoriana di
Roma, laureandosi in Storia della Chiesa. Il 3 settembre 1991 è ordinato
sacerdote nella Cattedrale di Noto.
Nel 1992 diventa professore di storia della Chiesa presso la
sezione distaccata di Noto della Pontificia Università della Santa Croce di
Roma. Nel 1995 è nominato parroco della Madonna del Carmine ad Avola.
Forte di una passione per la tecnologia, nei primi anni '80 scopre per caso a Roma un sito contenente immagini di bambini violati e decide di dedicarsi al contrasto della pedopornografia. Dopo aver ideato il Telefono Arcobaleno, nel 1996 fonda l'associazione Meter, iniziando la sua battaglia contro la pedofilia. Attività che l'ha reso noto a livello internazionale. Si è fatto promotore di diverse iniziative tra cui la Giornata in Memoria dei Bambini Vittime dello Sfruttamento, della Violenza e dell'Indifferenza e la Moratoria Internazionale contro la Pedofilia. I centri dell'associazione godono del supporto della CEI (Fonte Wikipedia)
Non è mai difficile parlare dei libri di Roberto Mistretta,
perché il suo narrare è sempre piacevole e interessante, armonioso e mai
banale, godibile anche se l’argomento è terribile, come in questo caso. Il
libro che vi invito a leggere parla della battaglia che un uomo, don Fortunato Di Noto,
conduce quotidianamente assieme a tutti i componenti dell’associazione Meter.
Una battaglia senza esclusione di colpi e senza pause, perché don Fortunato e i
suoi sanno che fermarsi a tirare il fiato per un attimo può significare un altro
orrore per un innocente. Un innocente che magari si sente in colpa quando non
dovrebbe, che ha paura della reazione della sua famiglia se dovesse denunciare
un parente, magari intimo e importante.
La verità che emerge
dal lavoro di Roberto Mistretta è che di pedofilia si parla troppo poco. “Il
fenomeno della pedopornografia è inarrestabile [...] In Italia durante il
lockdown vi è stato un aumento del 136% di casi, di denunce per adescamento a
fini sessuali. La pandemia da Covid ha moltiplicato gli abusi sui minori".
Parole di don Fortunato Di Noto intervistato dall’Adnkronos. Il silenzio
favorisce i pedocriminali, di cui si parla pochissimo, che hanno impiantato un
vero e proprio business per quanto riguarda l’acquisizione di foto e video, la
produzione del materiale e quindi l’induzione di milioni bambini coinvolti in
questo traffico di esseri umani. Si va dai neonati a bambini che hanno un
massimo di 12-13 anni di vita se parliamo di pedofilia e pedopornografia, ma
poi c’è anche la pornografia minorile, altro fenomeno agghiacciante e
drammatico.
Leggere Don Fortunato di Noto(La mia battaglia in
difesa dei bambini) non
salverà la nostra coscienza, anzi la inquieterà e la scuoterà, ma ci dimostrerà
di avere ancora una coscienza. Ci aiuterà a non girarci dall’altra parte, a non
essere ignavi. Chi non denuncia, chi non urla, se è vittima non lo fa per paura,
se è testimone non lo fa per tornaconto, preferisce starsene in disparte e per
viltà attende che la tempesta passi. Denunciare aiuta a liberarsi dal peso del
silenzio, vuol dire avere la certezza di non essere lasciati da soli contro i
mostri. Ci sono i volontari di Meter, c’è Don Fortunato Di Noto e con loro la
legge, la giustizia e l’affetto che questi innocenti meritano.
giovedì 30 settembre 2021
Finalmente Rosalino Granata ritorna con il suo Guido
Casteltermini, 29 09 202021 (Rondelli sono...) Siamo arrivati alla terza puntata della saga di Guido, personaggio uscito dalla penna e dalla fantasia di Rosalino Granata scrittore e poeta di haiku. L'autore di origine castelterminese questa volta si è concentrato su due fronti particolarmente scottanti: le società segrete e il bossing. In Italia, terra di Gladio e della P2, le società segrete fanno ancora paura e, seppur con simpatica semplicità, Granata ce ne ricorda la pericolosità.
Guido per caso e improvvisamente si trova a gestire il ritrovamento di una valigetta che nasconde una serie di segreti, fin lì il caso. Ma poi decide di aprirla, da questa scelta cominceranno guai serissimi. Tra i nomi contenuti nei vari elenchi presenti nella valigetta ce n'è uno per lui particolarmente pericoloso.
Un incontro non casuale lo espone alla vendetta di uno dei suoi superiori, inizia una serrata azione di bossing: una forma di mobbing verticale che viene messa in atto da un superiore ai danni di un suo sottoposto.
In parole povere il bossing si concretizza in una serie di atti che determinano una penalizzazione o un’umiliazione ingiustificata del dipendente ad opera di un proprio superiore per tramite dei vantaggi della propria posizione. Il superiore mette in atto una serie di comportamenti che tendono a sfavorire in maniera selettiva la persona, come nel caso di Guido. Per essere considerato bossing a tutti gli effetti gli atti persecutori devono essere prodotti per una durata congrua di tempo. Con ciò si intende che per venirsi a configurare una situazione di mobbing di questo tipo si deve produrre più di una occorrenza di azioni penalizzanti.
Uscito per PAV edizioni, nella collana "Storie di vita", Guido, la società segreta e il Bossing, segna un'evoluzione nella scrittura di Rosalino Granata, che appare più controllata e matura. Questo quinto libro di Rosalino Granata è in grado di tenere il lettore incollato alle pagine fino all'ultimo, arrivando ad una soluzione finale non scontata.
Il mio consiglio è quello di leggerlo, vi permetterà di passare un po' di tempo con la gradevole compagnia di Guido e del suo autore.
mercoledì 22 settembre 2021
La stele di Roberto Fragale a Châtelet (Belgio)
Il
tempo scorre veloce e inesorabile et non
s'arresta una hora, sono passati più di cinque anni dal quel maggio 2016, nel quale Roberto Fragale ha donato a Casteltermini e ai suoi cittadini un
monumento dedicato agli emigrati. In quell’occasione i nostri concittadini con
residenza all’estero hanno apprezzato molto il lavoro del maestro Fragale,
tanto da chiedere un “gemello” da porre in Belgio, nella città di Châtelet,
città ad altissima densità di emigrati siciliani come del resto tutto il
vallone dell'Hainaut.
Cinque
anni dopo arriva il gemello, un
gemello “diverso” però, che ci racconta il resto della storia dei nostri emigrati:
la nostalgia, la rabbia e il riscatto; la gratitudine.
Questo
triste periodo è reso pittoricamente da una sezione della miniera
di Marcinelle, anche questa evocatrice di terribili memorie, dove i vari
livelli di lavoro sono stilizzati dagli attrezzi tipici dei minatori.
Alla parte superiore è affidata l’esposizione del riscatto delle successive generazioni di Castelterminesi nati in Belgio. Il riscatto viene raccontato attraverso la doppia declinazione della Cultura e della Libertà e simbolicamente reso da un libro, simbolo di cultura, che si trasforma in ali, immagine di libertà. Lo studio, la cultura, la libertà hanno consentito ai nostri compaesani di occupare posti di rilievo in vari campi, da quello lavorativo a quello sociale, da quello culturale a quello politico. L’apporto positivo dato dai nostri conterranei in Belgio l’ho raccontato in altre storie, quando ho definito gli emigranti castelterminesi i nostri “ambasciatori nel mondo”.
Sigillo
e crogiolo di questa proficua convivenza è il gemellaggio delle due cittadine,
accomunate anche dalle aquile che campeggiano nello stemma di ognuno dei
comuni, questa coincidenza ha ispirato a Roberto Fragale un nuovo
stemma/sintesi, che unisce le due metà di esse, sopra le bandiere nazionali.
Il
Maestro Fragale è stato contattato da altri castelterminesi all’estero, ai
quali piacerebbe avere una stele, come quella raccontata in questa occasione, che testimoni la
loro storia. Ben vengano Germania, Francia, America, Svizzera…
In
attesa di tempi migliori collezioniamo giorni e altre piccole cose.
giovedì 8 luglio 2021
Casteltermini e il girone dei panzoni…
Sono sovrappeso, se qualcuno non ci dovesse credere vi confermo che sono sovrappeso, non foss'altro per tutte le volte che me lo sento dire, inoltre in ogni occasione me ne danno il triste annunzio la bilancia, le mie ginocchia, la schiena, il medico curante, la cardiologa, le sedie di plastica, mia moglie, i miei figli e i parenti tutti.
Che fare?
Mangia di meno e cammina!
Camminare?
Di questo voglio parlarvi... delle camminate.
Di solito nelle mie camminate parto da casa mia, in piazza Brodolini, verso Marvello, il giro di boa lo pongo subito dopo quella bella cattedrale nel deserto che in molti chiamano “l’albergo”, quindi prima che la discesa verso Cozzo Disi incrudelisca ritorno. Diecimila passi, 7 Chilometri circa. Diecimila passi incontrando gli altri (con)dannati del “Girone dei panzoni”. Ci conosciamo tutti, siamo più o meno sempre gli stessi e siamo sempre più panzoni. Ci siamo attrezzati di materiale tecnico: maglie, scarpe, tute; ci diamo aria di grandi sportivi, ma siamo solo dei “panzoni”. Fortunatamente esiste Decathlon e le sue misure a prova di panzone! Siamo gente che le 500 calorie bruciate con 10.000 passi le recupera nei 10 minuti di attesa che l’acqua per la pasta bolla: in quei 10, dico 10 minuti, ingurgitiamo di tutto, pasta del giorno prima, carne della sera, pane duro, salumi, scatolame, croccantini del gatto… di tutto! Siamo gente dallo spuntino facile, dall’assaggio prolungato e ripetuto, dalla fame inestinguibile. Gente che da Natale all’Immacolata successiva dà la colpa della propria panza alle feste, alla pignolata, all’estate, alla cubaita, ai matrimoni, alla pasta di san Calò, tutti colpevoli cospiratori che attentano alla nostra linea.
Poi arriva il senso di colpa, guardiamo le scarpe che abbiamo
comprato per le passeggiate, decidiamo che quello è l’ultimo gelato a pezzo e
via verso la strada di Malvello…
Ma non si salva nessuno? Qualcuno si salva, il mio amico
Giacomo per esempio. Lui è uscito definitivamente dal “Girone dei panzoni”,
sfoggia un fisico invidiabile e una volontà inossidabile. E gli altri?
Gli altri con alterne fortune, in stile zampogna, gonfiamo e
sgonfiamo, alternativamente. In certi periodi dell’anno capita che uno di noi panzoni
sia particolarmente motivato, i segnali sono: passo continuo e spedito; scelta di
allenarsi in solitario; dimagrimento repentino e palese. Finalmente lo vedi
uscire dal blob della panzoneria, come un uomo che si è liberato da una sostanza
appiccicosa che gli avvolgeva tutto il suo corpo. Si sente libero e leggero.
Dura poco… il demone panzone e lì che ci aspetta con un
sorriso sornione, ci lascia fare. Jeans aderenti, magliette e camicie slim fit,
occhio di sfida lanciato a quelle enormi che sono rimaste nell’armadio. Poi
cominciano gli “strappi” e le autogiustificazioni: uno sgarro ogni tanto serve
a dare motivazione; stasera non ceno; la birra si suda…
Dall’inferno del “Girone dei panzoni” ci ritroviamo nel
paradiso degli aperitivi del Cocoa e del Movida: l’insalatina viene sostituita
dal salatino, la bevanda energetica dallo spritz, le verdure spezza fame dai
prelibati stuzzichini.
Cominciano le domande imbarazzanti e la dissimulazione. Se ci
chiedono se abbiamo preso qualche chilo, urliamo NO! Non vieni più a camminare?
Faccio un altro giro…
Senza rendercene conto il demone panzone ci ha preso per la
gola! Nel primo periodo continuiamo a indossare i vestiti del dimagrimento,
anche se i jeans li facciamo entrare con il calzascarpe e i bottoni della camicia
sono tirati tipo catapulta, che se ne parte uno finisce a Sutera. Infine,
finalmente rassegnati riprendiamo le vecchie comode camicie, i vecchi jeans, soddisfatti
che ancora ci stanno un po’ grandi.
Rassegnati torniamo al “Girone dei panzoni”,
siamo stati risucchiati…
Gli altri panzoni ci attendono, ci salutano allegri e assolvendoci si assolvono.
domenica 4 luglio 2021
Cozzo Disi 4 luglio del 1916, ne ho fatto un romanzo! (Alla fine dell’articolo la sinossi e il capitolo che parla del momento del crollo)
L’arrovellamento, le affermazioni e le smentite delle stesse, i fatti veri e quelli presunti, i documenti più o meno attendibili. Le testimonianze... la Testimonianza, quella. La sentenza, Vincenzo Butera, sopravvissuto e testimone. Tutto questo per cercare di ricostruire cosa avvenne a Casteltermini in quel funesto 4 luglio del 1916. Sulla tragedia di Cozzo Disi, forse la più grande tragedia mineraria in Italia, con l’IPIA Archimede e l’associazione La Stiva abbiamo realizzato un documentario, regia di Giuseppe Cimino e riprese di Davide Sclafani. Lavorando al documentario poco a poco abbiamo abbandonato la parola “tragedia” sostituendola con “strage” e infine, dopo una profonda riflessione abbiamo parlato di strage volontaria.
Ho
incontrato Santo Infantino, grande esperto di miniera e memoria storica di
Cozzo Disi. Con precisione e pazienza, tanta pazienza! parlava con un
claustrofobico che non è mai entrato in una miniera, ha usato con me la stessa
dedizione di chi deve spiegare il deserto del Sahara a un pinguino. Siamo
arrivati alle stesse conclusioni: non ci fu incendio e, forse, solo qualche
piccola esplosione. L’immediata chiusura delle porte ha impedito a molti
minatori ancora vivi di salvarsi. Fu vera stage.
Qualche dubbio permaneva, anche in virtù degli scritti che affermavano l’esatto contrario. Finalmente, chiarificatrice, è arrivata la registrazione dell’intervista a Vincenzo Butera, unico sopravvissuto dopo la chiusura delle porte. Fu vera strage.
Decido
di scrivere sulla vicenda, alberga in me la certezza che si trattò di una
strage volontaria, 89 morti, rimasta impunita, come dimostra la sentenza in mio
possesso. Con uno studio approfondito delle fonti, essendo in possesso dell’audio
dell’unico testimone, ho imbastito il mio romanzo. Dopo essermi impegnato nella
costruzione di una solida base storica, forte delle spiegazioni di Santo
Infantino, ho poi deciso di virare, nel bilancio tra
storia e fiction, verso quest’ultima, perché nonostante siano passati più di
cento anni questa storia tocca ancora qualche nervo scoperto.
Il resto è un’altra storia, più personale e meno
importante. “Testimoni sepolti”, il mio romanzo, è stato uno dei finalisti dell’ultimo
Premio Mursia/RTL. Mursia ha esercitato il suo diritto di opzione per 6 mesi,
ma in questo frattempo non si è mai
fatta sentire. Scaduto il tempo di opzione ho mandato il manoscritto in
giro per case editrici, peraltro sbagliando clamorosamente il file e inviando una versione
intermedia e di molto precedente rispetto a quella spedita per il premio
Mursia. Non ho ricevuto quasi mai risposte...
Infine,
dietro consiglio di Roberto Mistretta, il papà del Maresciallo Bonanno e
vincitore del Premio Tedeschi 2019, mi sono rivolto a Raffaella Catalano e
Giacomo Cacciatore, editor lei e
scrittore lui, ottenendo finalmente un aiuto per migliorare il mio lavoro. Mi piace
scrivere e il compromesso auto-pubblicazione mi permetterebbe di realizzare il
sogno di vedere ciò che scrivo pubblicato, si tratterebbe però di una
pubblicazione che non darebbe il via a nessun processo di crescita: chi scrive
se vuole crescere si deve confrontare con un editor!
Ho
sottoposto il mio romanzo a Michele Guardì, mi ha dato un po’ di consigli e mi
ha scritto la prefazione. Bella storia! La prefazione di Guardì ad un libro non
pubblicato...
Sinossi del Romanzo Testimoni sepolti, autore
Michele Rondelli
Testimoni sepolti è
un romanzo storico corale. L’evento storico narrato è la più grande tragedia
mineraria italiana, quella di “Cozzo Disi ”, avvenuta a Casteltermini il 4
luglio del 1916 costata la vita di 89
operai e il ferimento di altri 34. All’interno di questa storia
terribile, quasi a fare da contraltare
di speranza, si racconta la storia di un ragazzo, Vincenzo Butera, che è riuscito a salvarsi
sopravvivendo 13 giorni sottoterra e uscendo illeso dalle gallerie.
A
narrare la vicenda è un giornalista, Ruggero De Robertis, mandato a
Calarmena/Casteltermini dal suo giornale per raccontare una catena di
misteriosi delitti che funestano il territorio. Sullo sfondo le lotte degli
operai delle miniere per migliorare le terribili condizioni nelle quali
lavorano, il cinismo e la prepotenza dei latifondisti, le prime cruente
manifestazioni della mafia rurale, lo spopolamento provocato dall’emigrazione e
dalla Prima Guerra Mondiale.
Tutti
gli eventi sembrano essere congegnati da un “manovratore” invisibile. Don
Carmelo sogna di fuggire in America con la sua amante; i suoi figli, che si
odiano ferocemente, sognano di impossessarsi della miniera l’uno a discapito
dell’altro; il delegato Barbagallo vuole scoprire la verità su quelle morti
misteriose; Vincenzo vuole sopravvivere e sposare Anna. Infine Sebastiano Lo
Groi si prodiga affinché i sogni di tutti si realizzino, ma una inquietante
domanda si fa strada: chi è Sebastiano Lo Groi? un filantropo amico di tutti o
un avido macchinatore?
E
ancora , ci sono delle responsabilità nella morte degli 89 disgraziati? La
miniera era gestita a regola d’arte? La strage poteva essere evitata? Il
romanzo a queste domande risponde con una nuova teoria basata su una serrata
ricerca storica e sulla verità di un documento trascurato (forse volutamente
perché scomodo!). La Verità in questo secolo che separa la narrazione dalla
strage è rimasta sepolta con i suoi 89 testimoni e noi vogliamo che venga
fuori.
Capitolo 6
Il Boato
I
minatori, così pure Vincenzino e suo padre, appena entrati si facevano il segno
della croce, davanti all'Annunziata, poi molti si spogliavano, alcuni
completamente, altri rimanevano con le sole mutande, il padre di Vincenzo
preferiva lavorare vestito e lasciandosi ai piedi gli stivali. Già nel secondo
livello il caldo era molto forte e via via diventava sempre più asfissiante,
l’aria era malsana per via dei fumi delle mine e del forte odore dello zolfo, a
volte Vincenzo tornato a casa si rendeva conto che il suo alito puzzava di
zolfo. Dovevano scendere al quarto livello, metri e metri sotto terra, sempre
più vicini all’Inferno. Il ragazzo si metteva davanti allo Sciancatu che si
appoggiava alle sue spalle e così scendeva più agevolmente. Per tutta la
discesa l’uomo continuava a ripetere rivolto a Vincenzo: «Lu Signuri ti lu renni»[1]. Quando
giungevano alla meta si sparpagliavano nei vari punti.
Quella
mattina il ragazzo non si sentiva tranquillo. Aveva paura delle mine che aveva
visto preparare, delle oscure parole sulla stabilità dei pilastri che suo padre
aveva detto a Ciccio Garofalo, degli uomini con l’ascia, aveva paura del buio.
Era
al quarto livello di Cozzo Disi nel camminamento che portava all’attigua
miniera di Serralonga. Erano le tredici e trenta quando il capomastro avvertì
che ci sarebbe stato il primo sparo di mine per l’avanzamento nel terzo
livello. Il boato rimbombava per tutte le galleria, un alito di vento caldo
raggiunse Vincenzino.
-
Madunnuzza mia! mi sembra che tremano tutte cose. Chiamava il padre
per chiedergli se tutto era sotto controllo.
Tutto
andava bene secondo suo padre, ma quel giorno aveva paura, gli continuava a
sembrare che tremassero tutte cose. Non sembrava il solito carricuni, cioè il normale movimento di assestamento che si
verificava dopo lo sparo delle mine.
La
paura nel ragazzo non accennava a calmarsi. Erano otto ore che caricava zolfo
sulla propria schiena, ma la fatica non aveva avuto su Vincenzo il solito
effetto calmante, non vedeva l’ora che passasse l’ultima mezz’ora per
finire il turno.
Ogni
tanto arrivava un boato che sembrava un tuono, l’ultimo però fu tremendo ed
improvviso. Il suolo e le pareti delle gallerie ballavano come barche sul mare
in tempesta. Lo stirraturi pieno di
pietre gli scappò dalle mani. Erano passate da poco le tredici e trenta, e come
si temeva le gallerie cominciavano a collassare con rombi sempre più forti. Il
rumore era spaventoso. Le gallerie crollavano con un effetto domino, la forza
della carica di esplosivo aveva reso tutto instabile, aveva perfino spaccato la
montagna, che da quel giorno aveva preso appunto il nome di “Montagna
Spaccata”. Ma questo Vincenzino non lo poteva sapere, così come non lo potevano
sapere tutti i morti rimasti imprigionati dentro quell’inferno.
-
Aiuto! matri mia, aiuto.
Le
sue urla si univano ad altre ugualmente disperate. I crolli continuavano e il
tempo sembrava non passare mai. Grida terrificanti provenivano da vari punti.
Non si sa quando durò tutto questo.
Rumore
di tuoni, ma non era un temporale, era la montagna che franava, trascinando con
sé la vita di molti uomini. Gridava anche lui, chiamava suo padre, ma nessuno
gli rispondeva. Poi si mise a piangere e a chiamare sua madre. Disperato
tornava a chiamare suo padre. Niente, nessuna risposta. Immerso nel buio riuscì
a raggiungere una nicchia che conosceva tra il quarto e il terzo livello. Il
rumore dei crolli continuava tremendo, così come le urla. Dopo un tempo
lunghissimo, poco alla volta i suoni cominciarono ad affievolirsi: i crolli
cessarono. Le urla diventavano lamenti, poi gemiti sempre più lontani, infine
il silenzio. Finalmente il ragazzo uscì dal suo nascondiglio, continuava a
chiamare suo padre fino a rimanere senza voce. Il padre non rispondeva. Il ragazzo
sperava che potesse essere ancora vivo ma non riusciva gridare, poi un pensiero
più terribile si fece largo nella sua testa.
- Il povero papà mio è forse sotto
le macerie e nessuno lo aiuta. - Preso dalla disperazione tornava ancora a
chiamare suo padre, la voce quasi non gli usciva più. Chiamava i nomi di tutti
quelli che ricordava essere nella sua zona e nel suo turno. Pensava ad Annuzza,
forse non l’avrebbe vista mai più, pensava a sua madre e ai suoi occhi tristi.
Perdere un figlio e il marito in quel modo, dopo la disgrazia dell’altro figlio
ucciso, poteva una donna resistere a
tanto dolore? A tratti gli veniva davanti gli occhi suo cugino vestito da
soldato, beato lui. Povero ragazzo, vedeva realizzarsi davanti ai suoi occhi il
suo più grande incubo: stava per fare la fine del topo. Chiusi gli occhi, con
fervore invocava la Madonna Assunta, quella che aveva pregato prima di
scendere, quella che secondo lui lo avrebbe salvato.
*
La
notizia fu portata in paese dai boati. Subito tutti capirono cosa stava
accadendo. Un lugubre lamentoso corteo si materializzò e prese la strada più
veloce verso la miniera. A raccontarmi tutto questo fu sempre Annuzza, anche in
questa parte del racconto ho notato delle incongruenze nel tempo della sua
narrazione, ma se il tempo è impreciso i fatti sono veri e quindi non possono
essere omessi. La ragazza si unì agli altri. Sperava di avere capito male,
sperava che il suo Vincenzo avesse dato retta ai suoi presagi, che non fosse
entrato in miniera. Fu lei che assistette alla scena tra i figli di don Carmelo
Pagano e Ciccio Cannella. L’uomo era uscito vivo da quell’inferno ma dentro aveva
un fratello e un nipote quindi decise di tornare indietro. Passando disse ai
due, davanti a tutti i loro scagnozzi: «Se è successo qualcosa a mio fratello e
a mio nipote vi scanno come maiali!». Prese una borraccia e rientrò nella
miniera. La ragazza vide lo sguardo d’intesa tra Filippo e uno dei suoi uomini.
Fecero passare pochi minuti e cominciarono a murare le porte. Ciccio Cannella morì
murato vivo con molti altri. La povera Anna chiamava il suo Vincenzo, nel
mentre andava da un ferito all’altro, cercando di aiutare più che poteva, fu in
seguito a quei tragici momenti che feci la sua conoscenza. La ragazza chiedeva
aiuto per spostare un carusu morente
che rischiava di essere calpestato dalla folla, nessuno l’aiutò. Il bambino
morì tra le sue braccia circa un’ora dopo, in tutto quel tempo, con voce sempre
più flebile, non cessò mai di chiamare la sua mamma. Morì senza vederla la sua
mamma.
-
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