Nella notte fra il 14 e il 15
gennaio 1968 un violento terremoto (magnitudo 6,4 della scala Richter)
sconvolse una vasta area della Sicilia Occidentale compresa fra le province di
Agrigento, Trapani e Palermo. La zona più colpita fu la Valle del Belice.
Quattro paesi rimasero completamente distrutti: Gibellina,
Poggioreale, Salaparuta, Montevago. Le vittime furono 370, un migliaio i feriti
e circa 70mila i senzatetto. Gli altri centri che subirono danni ingenti furono
Menfi, Partanna, Camporeale, Chiusa Sclafani, Contessa Entellina, Sambuca di
Sicilia, Sciacca, Santa Ninfa, Salemi, Vita, Calatafimi, Santa Margherita di
Belice, Menfi.
La terra tremò in piena
notte, provocando il panico nella popolazione e rendendo estremamente
complessi i soccorsi. I primi ad accorrere furono i carabinieri della zona.
«Nel caos generale», raccontò la rivista dell’Arma “Il Carabiniere”,
«ufficiali, sottufficiali e carabinieri, nella buia e gelida notte, muovendo
tra il nevischio, il fango e le macerie, misero con slancio ed altruismo le
loro impari forze al servizio dei tanti, dei troppi, che chiedevano aiuto e
protezione, prodigandosi per tutti tranne che per le loro famiglie, egualmente
sinistrate, e per le loro caserme, pure crollate.
Nel quadro di una situazione
senza precedenti, tutti i carabinieri della Legione di Palermo, dal colonnello
comandante al più giovane carabiniere, (che
forse era proprio il nostro Nicolò NDA), rimasero, in quelle prime lunghe
terribili ore, a sostenere le popolazioni colpite, a recuperare i bambini
abbandonati, a soccorrere i feriti». Nelle settimane successive l’impegno
dell’Arma dei Carabinieri fu costante e massiccio, con l’impiego di quasi 2.500
uomini, 6 elicotteri, 24 mezzi speciali (ambulanze, autobotti, autogru e
autoradio), 90 autocarri, quasi 200 autovetture. L’Arma mise a disposizione dei
sinistrati tende, cucine da campo, materiale sanitario, materassini pneumatici,
coperte da campo e molti uomini.
Il destino era in
agguato, la situazione pericolosa, purtroppo una serie di nuove
scosse mieté vittime anche tra i generosi soccorritori. Fra queste ci fu anche Nicolò Cannella, morto a Gibellina insieme
a quattro vigili del fuoco mentre si prodigava nell’opera di recupero di chi
era rimasto sepolto sotto le macerie.
Nicolò era rientrato a Palermo dopo 10 giorni consecutivi passati ad aiutare la popolazione colpita dal terremoto, non resistette a lungo e fu lui stesso a chiedere di ritornare a Gibellina, dopo poche ore raggiunse quelli che gli sarebbero stati compagni nella tragedia. Sapeva quello che aveva lasciato: gente sconvolta, bambini che non riuscivano più a trovare i loro genitori e che forse non li avrebbero ritrovati mai più, feriti e uomini imprigionati sotto le macerie. Sapeva che era una corsa contro il tempo e non si fece piegare né dalla stanchezza e né dallo scoramento. Il senso del dovere e l’umana pietà erano voci che urlavano dentro la sua nobile coscienza e gli davano una forza che superava le capacità umane. Voleva raggiungere i suoi compagni di sacrificio: Alessio Mauceri, 53 anni, originario di Ispica, nel ragusano, era un brigadiere dei vigili del fuoco di Palermo che si era già distinto durante i soccorsi internazionali avviati dopo il sisma che qualche anno prima aveva colpito la Grecia; Giovanni Nuccio, 20 anni, era un vigile del comando dei vigili del fuoco di Palermo; Savio Semprini, 30 anni, vigile temporaneo del comando provinciale di Modena; Giuliano Cartuan, 20 anni, vigile del fuoco in servizio di leva presso le scuole centrali antincendio di Roma-Capannelle.
Il 25 gennaio 1968, alle 10,57
una scossa tellurica dell’ottavo grado della scala Mercalli, li
sorprese tutti assieme mentre, così come facevano da ben 11 giorni di fila, fra
le vie pericolanti di Gibellina erano impegnati a mettere in sicurezza persone
e cose. Morirono travolti dalle macerie.
Donare la vita è il massimo del
sacrificio che una persona possa fare, Nicolò Cannella e i suoi quattro
compagni di martirio lo hanno fatto e tutti noi non lo dimenticheremo mai.
Nicolò è
stato insignito della Medaglia d’Oro al Valor Civile con
la seguente motivazione: “In occasione di disastroso movimento
sismico, che aveva provocato numerosissime vittime, oltre ad ingenti danni, si
prodigava per più giorni, con coraggio ed abnegazione non comuni, in estenuanti
e rischiose operazioni di soccorso in favore di popolazioni colpite. Sorpreso
da nuova violenta scossa tellurica, noncurante del grave pericolo incombente,
continuava la propria azione incitando a viva voce gli altri soccorritori con
lui operanti a porsi al riparo, finchè, travolto dalle macerie di ruderi
circostanti, faceva olocausto della vita. Esempio mirabile di altissimo senso
del dovere e di elette virtù civiche. Gibellina (TP), 25 gennaio 1968.“
Alla sua memoria è
intitolata, dal 3 maggio 2005, la Caserma sede del Comando Stazione Carabinieri
di Casteltermini
Il Cav. Uff. Vincenzo Firrera
(Casteltermini 15 agosto 1938 – Roma 1 marzo 1995), persona stimata, umile,
riservata nel 1969 propose al Sindaco di Roma di intitolare di una strada della
Capitale all’eroico carabiniere castelterminese Nicolò Cannella, caduto nella
catastrofe di Gibellina, sepolto dalle macerie mentre era intento a salvare
vittime superstiti del terremoto, proposta accolta e concretata nel 1970 con la
nascita nel nuovo quartiere Spinaceto, in cui è stata posta la targa “Largo Nicolò
Cannella”, con notizia ampiamente diffusa dalla stampa
romana.
Da qualche anno a questa parte, pandemie permettendo, il sodalizio sportivo ASD Airone
di Casteltermini organizza il Trofeo podistico memorial Nicolò
Cannella, un modo per conservare la memoria dell’atto eroico e
dell’estremo sacrificio nostro concittadino e per farlo conoscere alle
future generazioni.
Nessun commento:
Posta un commento