La prima volta che ho sentito la parola salamelecchi (nella versione in siciliano salamalicchi) è stata mia nonna Marietta a pronunciarla. Era da poco passata l’Immacolata e come sempre in casa mia avevamo fatto l’albero di Natale e un popolatissimo presepe. Qualche giorno dopo, andando a casa di mia nonna, mi accorsi che il suo presepe constava solo della grotta e dei personaggi principali, mancavano i re magi, l’angelo, i pastori. Ero molto piccolo e la cominciai a tormentare per convincerla a comprare qualche altro personaggio. Alla fine la mia azione di logoramento ebbe la meglio, così ci recammo in quello che allora era un notissimo negozio che vendeva di tutto, una specie di bazar, oggi lo chiameremmo “trova tutto”, con la promessa solenne che non avrei preteso più di 5 statuine.
La commerciante era una tosta ed esordì con il classico “Che biddu stu picciliddu! Di cu è figliu?” Mia nonna rispose e la signora mi riempì di complimenti. Poi le chiese delle sue cugine, gli ricordò la santità del defunto fratello sacerdote e via così in un turbinio di parole e gesti. Infine si rivolse di nuovo a me, chiedendomi cosa volessi e io le elencai tutto di un fiato: “I tre re magi, un pastore e un angelo per il presepe”. La replica fu immediata: “Questi soli?”. Cominciò il suo panegirico del presepe, partendo dalla solitudine del pastore senza le pecorelle e delle pecorelle senza il cane (2 pastori + 5 pecorelle + 1 cane = 8); “E i cammelli? Chi vinnuru a pedi sti poveri re magi?” (3 cammelli + 3 magi = 6 – totale 14 statuine); “E lu spirdatu? Chi presepiu è? senza lu spirdatu?” (+ 1 spirdato 15); “Nardu, ci voli puru Nardu, cu a va piglia sennò l’acqua?”, un personaggio che dormiva beato, (+ 1 Nardu 16); “Michilù, ma ti pari giusto ca l’unica fimminedda è la Madunnuzza?”, risultato altre due statuine di donne con le galline e due pastorelle, le mogli dei pastori a detta della signora, oltre ad un gallo bellissimo, 3 gallinelle e due ochette; siamo a 26 statuine alle quali vanno aggiunti il cielo stellato, la carta per le montagne, un cancello e un ponticello. Totale 30 pezzi! Uscimmo e mia nonna finse di essere contrariata, ma in realtà era molto divertita. Fu in quel momento che disse: “Chista cu tutti ‘sti salamalicchi ni stava vinninnu tutta Bettilemmi!” (Traduzione: “Questa con tutti questi salamelecchi ci stava vendendo tutta Betlemme!”). Ecco la prima volta che sentii salamelecchi...
Ancora oggi la parola suscita curiosità e già dalla pronuncia assume una nota che sembra suonare beffarda. Andiamo alla sua origine.
Questa volta partiamo dal “Dizionario Sentimentale della Parlata Siciliana” così scrive Gaetano Basile: Salamalicchi quando qualcuno era ricevuto “cu tanti salamalìcchi” voleva dire che i suoi ospiti erano molto cerimoniosi, gli erano stati riservati fin troppi convenevoli. Deriva da un’antica e cerimoniale forma di saluto musulmano che recita salam aleikum, che in lingua araba vuol dire pace a noi; oppure nella forma singolare salam aleik, pace a te. A questo saluto si usa replicare altrettanto solennemente con aleikum salam (a noi la pace, con la formula rituale di conferma rovesciata dell’augurio assai usata anche in alcune forme di saluto cristiano.
Salamelècco (ant. salamelècche) s. m. [dall’arabo salā’m ῾alaik, propriam. «pace su te», formula usuale di saluto] (pl. -chi). – Saluto, atto di ossequio, complimento troppo cerimonioso e affettato: lo accolse con molti s.; tornando in macchina, aprì dall’esterno il mio sportello e mi fece scendere con un s., come fossi un ministro (Sandro Veronesi); non riesco a sopportare tutti quei s.; a tutti i membri dell’Accademia della Crusca io sono pronto a fare un profondo salamelecche (Baretti).
(www.treccani.it/vocabolario/salamelecco)
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