Come possiamo avere la certezza di essere vivi? Non certo sulla base dei like che i nostri post ricevono su Facebook. Mi capita spesso di immaginare mio nonno alle prese con gli “amici virtuali”. Mio nonno Michelangelo, un uomo che nella sua vita non ha avuto il “piacere” di un like su Facebook o di emettere un Twitt, ma la cui base del senso della realtà si collocava nell’esperienza diretta, un individuo di altri tempi che sviluppava i rapporti umani attraverso la capacità di gestione delle interazioni reali, relazionandosi con altri esseri umani che non avevano una dimensione virtuale e che si limitavano ad essere reali, producendosi in rapporti “faccia a faccia”.
Mio nonno non poteva certo immaginare l’avvento dei social, di queste nuove forme di comunicazione che ci privano proprio delle relazioni “faccia a faccia”, non permettendoci di accedere alla comunicazione non verbale, che appiattiscono il messaggio così tanto da avere bisogno di espressioni posticce, le cosiddette “emoticons”, usate per evitare fraintendimenti e per comunicare emozioni, spesso fasulle.
È bene sottolineare che tutto il tempo che dedichiamo alle interazioni virtuali lo sottraiamo alle relazioni reali, “in carne e ossa”, provocando un indebolimento delle nostre competenze sociali. Di fatto più tempo stiamo dietro una tastiera, più sono i nostri contatti virtuali, e meno saranno i nostri contatti reali e quindi i nostri amici reali.
Il virtuale, dissociandoci dal reale, non ci permette il confronto diretto, parlato per intenderci, proiettandoci in una sorta di “delirio della conoscenza illimitata”. Google, con i suoi click “apriti sesamo”, ci illude di trasmettere un’immagine di sapere sconfinato, un’immagine che è virtuale e superficiale, un sapere finto ottenuto senza sforzo alcuno, senza fatica e soprattutto senza impegno. Il dramma e che si finisce con il credersi ciò che non si è, non coscienti che si tratta solo del principio di immedesimazione dei neuroni specchio, che sostituiscono la vita reale con quella virtuale. Illudendosi di sapere si perde la coscienza della propria ignoranza. 'So di non sapere', per Socrate è l'ignoranza la base della vera conoscenza, ma se non ci rendiamo conto di non sapere…
Relazionarci con interlocutori virtuali ci toglie spazio al confronto e lascia margini sempre più ampi ad una invasione malata della fantasia. Stare dietro una tastiera, a scervellarsi per prendere qualche like, compromette il nostro senso della realtà.
Sostiene Pietro Trabucchi, in un interessante saggio dal titolo “Tecniche di resistenza interiore”: <<il nostro mondo è fatto di vasi comunicanti: se svuoti quello del reale, fai salire il livello in quello dell'ego. La conseguenza è la perdita dei propri limiti: una dilatazione dell'Io che assomiglia al gonfiarsi di un palloncino. Privo di vincoli e di confronti con il reale, l’ego cresce e assume una smisurata importanza ai suoi stessi occhi. Una prima conseguenza interessante di questo processo è la spettacolarizzazione di sé. Qui il soggetto, compiaciuto e privo di quel pudore che è il giudizio dell'altro interiorizzato, lascia che le proprie miserie assumano dignità di interesse planetario. Ecco la spiegazione di quel fenomeno per cui i social network diventano il discount del narcisismo, ricettacolo delle manifestazioni più infime e decadenti di auto esibizionismo>>.
Si finisce allora con l’esternare qualsiasi pensiero si affacci nella mente. Ognuno è convinto che ciascuna informazione abbia un peso rilevante nella storia dell'umanità, al “delirio della conoscenza illimitata” si aggiunge quello dell’interesse illimitato, ci si convince di “parlare alla nazione”, di essere degli opinion leader, invece si delira e basta…
Di recente ho avuto qualche piccolo problema di salute, il discorso è caduto come sempre sul mio peso. Il dottore questa volta non mi ha chiesto cosa mangio, quanto mangio o se mi muovo… mi ha chiesto:
<<...quanto tempo passa dietro una tastiera?>>.
Qualcosa sta andando storto…
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