mercoledì 11 dicembre 2019

Vaniloquio a Casteltermini


Ogni libro è strumento di lettura e trasmettitore di cultura, ci sono però libri che diventano scrigni preziosi di mistero e a volte venerandi oggetti di culto. Leggere per me è un piacere fine a se stesso, il più delle volte la lettura non ha per me uno scopo secondario o peggio ancora primario, l’acquisizione di informazioni è uno stupendo effetto collaterale. Sia chiaro, non sto parlando dello “studio” ma della lettura “amena”, di quel fantastico momento in cui seduto sotto un albero apri un libro e questo diventa scrigno che si schiude e ti svela un segreto custodito come un gioiello.
Il gioiello di cui voglio parlare in questo mio articolo si chiama “Stazione ferroviaria Acquaviva Platani /Casteltermini”; sì proprio quel luogo che un illuminante servizio Marco Burgio ci ha svelato disastrato, sporco, fatiscente e pericoloso, eppure una frase del suo articolo, “Ti volti e vedi un altro edificio fatiscente con i vetri rotti e le colombe ancora una volta a farla da padrone”, mi ha ricordato che lì una volta abitava Elio Vittorini, che in quel posto ora infernale ha ambientato più di un episodio del suo capolavoro: “Conversazione in Sicilia”. Mi ricordo ancora che un tempo c’era un grande fermento culturale a Casteltermini, mi ricordo di un meraviglioso giornale, “Conversazione in Casteltermini”, che dall’opera traeva spunto e stimolo.
Stazione di Acquaviva-Casteltermini foto: Marco Burgio
Che tristezza, il degrado della stazione nella mia testa assurge a simbolo del degrado culturale del nostro paese. Le uniche discussioni interessanti che riusciamo a fare, le produciamo attaccati ad una tastiera, marchingegni elettronici ci spingono verso una solitudine reale mascherata da compagnia virtuale. Ricordo le discussioni coltissime tra Totò Lo Re, mio fratello, Alberto Callari e un altro emigrato, forse a Firenze, di cui non ricordo il nome, ricordo solo che disegnava molto bene. Io stavo in disparte, ero piccolo non solo anagraficamente, quelli per me erano giganti. Ascoltavo e, mi vergogno un po’ a scriverlo, ero felice.
Fu uno di loro a consigliarmi “Conversazione in Sicilia” di Elio Vittorini, con fare quasi paterno, temendo che non riuscissi a capire fino in fondo, mi consigliò di leggere l’introduzione, poi mi dette dei veloci ragguagli biografici sull’autore, era fiero quando mi anticipò che dentro vi avrei trovato riferimenti a Casteltermini. Avevo tredici anni, non ci capii niente. Da allora con “Conversazione in Sicilia” ho stabilito un rapporto d’amore che mi porta spesso a rileggerlo… e ora Marco mi ha spinto a riportare alla luce l’importanza che quel posto così degradato ha per me. In quella stazione è ambientato “Conversazione in Sicilia”, in quella stazione ha abitato Elio Vittorini, in altri posti questo basterebbe per fare di quel luogo un parco letterario, un luogo del ricordo, da noi no! Dalle nostre parti non si osa, si vola basso, spesso neanche sappiamo cosa abbiamo a portata di mano. Lasciamo stare il parco letterario, non lasciamo però che si degradi la stazione, facciamo in modo che sia pulita e ordinata come quella di Cammarata, diamo la possibilità a Marco e agli altri studenti dell’università di prendere il treno dignitosamente. La stazione per alcuni di noi resterà un luogo dell’anima, per altri sarà solo una stazione, per tutti è necessario che sia pulita e ben custodita. Ci sarà uno di voi che comprerà il libro e, in compagnia di un amico, da solo è meglio di no, il luogo è troppo pericoloso, andrà a leggere queste parole?
La madre descrive l’unico tradimento fatto a suo padre, a quanto pare gran libertino, con un soldato scappato che poi si reca a Bivona, leggete…
A Bivona? – dissi io. – Ma Bivona è lontana da Acquaviva…
E mia madre: -È di là dal monte. Una cinquantina di chilometri… tutti i paesi sono lontani una cinquantina di chilometri da Acquaviva.
-No, – dissi io. – Casteltermini è più vicino che cinquanta chilometri. Come mai non si fermò a Casteltermini?
E mia madre: – Forse a Casteltermini non c’era lavoro. O forse voleva continuare verso Palermo, e arrivò a Bivona, e lì decise altrimenti.”
(Elio Vittorini, Conversazione in Sicilia, Bur)
Stazione di Acquaviva-Casteltermini foto: Marco Burgio
Che fare? Io, forse a causa della dimensione onirica del romanzo, quando vado alla stazione vi sogno Vittorini bambino, sogno suo padre che recita Shakespeare, sogno il “Gran Lombardo”, sogno sua madre. Che fare? Leggiamo ancora una volta “Conversazione in Sicilia”, in un’epoca, dove non c’è più il personale alla stazione e a breve neanche la stazione, dove “Forse a Casteltermini non c’era lavoro”, non avrebbe avuto il forse, facciamoci prendere dalla magia ribalda del “Giro delle punture”.
È possibile leggere l’opera con due diverse chiavi di lettura: la prima è quella nel segno dell’allucinazione, del sogno. La mia preferita, senza punti di riferimento che diano continuità ai vari incontri del protagonista, i dialoghi estenuanti e ripetitivi, le situazioni fino allora estranee al panorama letterario italiano. Un’altra possibile interpretazione legge l’intera opera in chiave simbolica, quasi allegorica. Vittorini, avrebbe mascherato le sue reali intenzioni antifasciste dietro un romanzo i cui personaggi e dialoghi hanno più livelli di lettura.
Non importa quale sarà la vostra chiave di lettura, leggete… se non vi piacciono le mie, sono le più comuni, date una nuova interpretazione al testo. Ringrazio Marco Burgio per avermi suscitato questo ricordo, mi scuso con le persone che ho citato se in qualche modo ho provocato in loro imbarazzo o fastidio.
Michele Rondelli

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