martedì 27 aprile 2021

Millantare, una parola che si può vantare!

 

         "Millanta" è un numero di fantasia che scherzosamente, almeno nell’uso che ne conosco io, viene usato per amplificare ingrandendo un numero imprecisato di volte. Lo possiamo sentire ascoltando Don Chisciotte di Francesco Guccini «Ho letto millanta storie di cavalieri erranti - di imprese e di vittorie dei giusti sui prepotenti - per starmene ancora chiuso coi miei libri in questa stanza - come un vigliacco ozioso, sordo ad ogni sofferenza».

         Di recente, leggendo Boccaccio in classe, in particolare “Calandrino e l'Elitropia”, ci siamo imbattuti in questo termine messo in bocca al personaggio di Maso il Saggio, che prende in giro Calandrino parlandogli del paese di Bengodi, e rispondendo alla domanda di quante miglia vi siano fra Firenze e quel meraviglioso paese, sentenzia “Haccene più di millanta, che tutta notte canta”. Risposta senza senso che però dà la sensazione di una distanza enorme.

         Millantare significa quindi esagerare o mentire su una qualità che non si possiede o che si possiede in parte. Millantatore per eccellenza è il Miles Gloriosus, il soldato Pirgopolinice di una famosissima commedia plautina; un  vanaglorioso noto per le sue spropositate e infondate vanterie. 

         Aristotele aveva fissato gli elementi caratteristici: “Il millantatore è colui il quale fa mostra di titoli di merito che non possiede, esagerando il suo controllo del mondo di cui in realtà è privo.”

Si distingue dall'ironico che, invece, è colui che nega e nasconde i titoli di merito di cui dispone attenuandoli. Tra questi due contrapposti estremi – l'ironico e il millantatore – si colloca la sincerità, che trova il suo opposto nella menzogna.

         Diamo la parola alla solita Treccani:

         millantare v. tr. [der. di millanta; propr. «amplificare ingrandendo di mille volte»]. – Vantare con molta esagerazione: m. le proprie ricchezze, i proprî meriti, le proprie prodezze, la nobiltà della propria famiglia, ecc.; o fingere per vanteria cose non vere: m. protezioni, conoscenze altolocate, ecc. Nel rifl.: si millanta troppo; millantandosi crede di apparire più importante; anche con compl. predicativo: millantarsi nobile, ricco.

lunedì 26 aprile 2021

Perché scrivere un testo breve? Il caso Instagram



Su Instagram, il social più diffuso tra i giovani, il limite massimo di caratteri per la descrizione ed i commenti è di 2200
. Non è un limite terribile come quello di Twitter, 140 caratteri, ma è pur sempre un limite del quale si deve tenere conto. Non ho ancora detto niente eppure ho “consumato” già 350 caratteri! Proviamo a produrre dei testi a lunghezza ridotta, ma che risultino completi, sviluppando in modo compiuto un argomento.

Un testo breve ha i suoi vantaggi:

riduce l’ansia della pagina bianca;

è una buona esercitazione in vista di testi più lunghi;

pretende essenzialità, evitando le ripetizioni;

basandosi su un’idea non deve collegare più idee;

risulta originale ed efficace grazie alla sua brevità.

Il post su Instagram è normalmente preceduto da un’immagine, che ne rappresenta l’argomento. Osservando l’immagine ti verranno in mente molte idee, annotale tutte! Delimita in modo preciso l’argomento e scegli un’idea centrale, rendila esplicita nel testo, riassumila in una frase chiave: la frase che contiene l’idea centrale. (Siamo a metà dello spazio di 2200 caratteri). Riproponi l’idea centrale tutte le volte che sarà necessario, esplicitandone una nuova sfumatura ogni volta, eviterai le ripetizioni.

All’immagine che hai postato seguono solo poche parole visibili, il resto sono inabissate dietro i ... (3 punti) ed emergono solo se li clicchi; usale per la frase chiave, che deve catturare il lettore e imprimersi nella sua memoria.

La frase chiave inoltre deve contenere l’argomento, essere immediatamente collegabile all’immagine, esprimere l’idea centrale, spingere il lettore a proseguire nella lettura. Più breve è il testo e più le parole sono importanti: devono essere appropriate, precise e coerenti; il lessico non deve essere generico, ma neanche troppo ricercato. Dobbiamo tenere conto della brevità del testo e del mezzo di pubblicazione: Instagram.

Chi apre un social, lo fa per svagarsi o curiosare. Il tempo di lettura breve stimola la curiosità e non scoraggia il lettore (2122 caratteri!).

venerdì 16 aprile 2021

La dieta di Rondelli: H come...

 


H come Hot Dog… come Hamburger… Cominciamo dal primo… che vuol dire Hot Dog? Cane caldo? Ho provato a leggere l’origine di questo nome da Wikipedia ma le risposte non sono state soddisfacenti! Andiamo al sodo… per realizzarlo si usa normalmente un pane morbido di forma oblunga, tagliato a metà come per i sandwich. Esistono anche speciali macchinette cuoci hot dog che scaldano il pane e praticano un foro di forma appropriata per contenere il würstel, che quindi può essere inserito nel pane senza che sia necessario tagliarlo.

Se, come me, possedete l’infernale macchinetta il panino raggiunge temperature che, in confronto a lui, la lava dell’Etna è senape dal frigorifero… per cui, mentre lo mangi, ti ritrovi a fare arf arf, ad emettere cioè un suono simile a quello dei cani affamati nei cartoni animati… condito da qualche parolaccia siciliana che non guasta mai. Capito perché si chiama cane caldo? 

Andiamo agli Hamburger... la mia amica Aurora ha inventato e mi ha spiegato l’AURYBURGER, dal giorno in cui mia moglie ha provato a fare quel tipo di Hamburger è cominciata una sfida con me stesso...

Michele: Uno solo! Sì sì, sono ben conditi…

Cinzia: Lo vuoi un altro?

Michele: Eeehh, in effetti a pranzo ho mangiato poco… (bugia!)

(Finisco il secondo…)

Michele: Di chi è quello?

Cinzia: Quello quale?

Michele: Quel panino? (il terzo)

Cinzia: Forse passa Roberta…

Michele: Hammm! Non passa… (già con la bocca piena!).

(Fine terzo panino!)

La dieta di Rondelli: A come...

La dieta di Rondelli: B come...

La dieta di Rondelli: C come...

La dieta di Rondelli: D come...

La dieta di Rondelli: E come...

La dieta di Rondelli: F come...

La dieta di Rondelli: G come..

mercoledì 14 aprile 2021

Il vaccino e il coraggio di Edward Jenner

 

    Nel 1700 che uno scienziato, Edward Jenner, si accorse che le epidemie di vaiolo in Inghilterra non colpivano mai i contadini che allevavano e mungevano le mucche. Anche le mucche si ammalavano di una forma di vaiolo, molto meno grave del vaiolo umano, che si trasmetteva ai contadini provocando piccole piaghe purulente sulle mani: si chiamava vaiolo “vaccino”, cioè vaiolo delle vacche.

    Jenner ipotizzò che il vaiolo umano e il vaiolo vaccino fossero due varianti della stessa malattia e che inoculando in soggetti sani il pus del vaiolo delle vacche questi sviluppassero una malattia poco aggressiva e, alla guarigione, divenissero resistenti anche al vaiolo umano.

    All’epoca non si aveva nessuna conoscenza di quella che oggi chiamiamo “immunologia”, non si conosceva l’esistenza degli “anticorpi” e della “memoria immunitaria”, quella mirabile capacità che il nostro organismo ha di riconoscere immediatamente un microrganismo aggressivo, che abbiamo già incontrato e sconfitto in passato, e di produrre gli anticorpi necessari per neutralizzarlo. I medici imparavano dall’esperienza, e l’esperienza insegnava che inoculando il vaiolo “vaccino” si provocavano febbre e pustole, ma si diventava resistenti al vaiolo umano.

Edward Jenner fu molto coraggioso e, dopo aver sperimentato l’effetto protettivo del “vaccino”, per dimostrare quanto lui stesso credesse nella sua teoria, lo inoculò a suo figlio.

    Il termine quindi  in origine designava sia il vaiolo dei bovini (o vaiolo vaccino), sia il pus ricavato dalle pustole del vaiolo bovino (pus vaccinico o vaccino), impiegato per praticare l’immunizzazione attiva contro il vaiolo umano.

Oggi indica varie preparazioni (per uso parenterale o anche orale) rivolte a indurre, da parte dell’organismo, la produzione di anticorpi protettivi e a consolidare la risposta immunitaria a livello cellulare, conferendo una resistenza specifica nei confronti di una determinata malattia infettiva (virale, batterica, protozoaria). Accanto ai vaccini per così dire classici, ottenuti da sospensioni di microrganismi patogeni (uccisi o vivi ma attenuati) o da immunogeni purificati (anatossine e polisaccaridi batterici), sono stati recentemente preparati vaccini sintetici, costituiti da catene peptidiche con specifica attività antigenica ottenute in laboratorio e inserite in una proteina di trasporto (che imprime al prodotto un potere immunogeno).

Fonti:

https://www.pampers.it/il-pediatra/la-storia-dei-vaccini

https://www.treccani.it/vocabolario/vaccino2/

martedì 13 aprile 2021

Scrivere per il web - lunghezza e densità

 

La lettura attraverso il web ha caratteristiche tali da riuscire spesso a condizionare la scrittura destinata a questo tipo di fruizione. La stesura per il web, se  vuole essere efficace, ha quindi la necessità di adattarsi alle esigenze e alle peculiarità del “lettore internet”. Infatti, il più delle volte, ci troviamo di fronte ad un fruitore in cerca di un’informazione “rapida” e che, se lo riterrà opportuno, sceglierà di approfondire l’argomento scelto solo in un secondo momento.

Spesso il lettore web più che leggere la notizia la “scrolla”, utilizzando una delle caratteristiche che i supporti tecnologici (Smartphone, tablet, pc) gli offrono. Per questo motivo in molti casi la scrittura on-line deve assecondare determinate esigenze di composizione del testo, lo scopo è quello di catturare subito l’attenzione del lettore grazie all’immediatezza  dell’informazione.

In caso di testi brevi i destinatari della scrittura web spesso non sono lettori nel senso tradizionale del termine, accanto ai lettori che hanno l’abitudine ad una lettura assidua su supporto cartaceo, prolifica una maggioranza di “lettori web” in senso stretto, lettori cioè che leggono solo dai supporti digitali e che hanno caratteristiche peculiari determinate dal supporto. Chi legge da un video predilige la brevità dell’informazione.

Il primo accorgimento per una scrittura efficace per qualsiasi tipo di lettore è la brevitas. L’americano Steve Krug, esperto di usabilità e comunicazione consiglia nel suo “Don’t Make me think” (2001)[1], di togliere il 50% delle parole da un testo da pubblicare on line e, dopo questa scrematura, di togliere un altro 50% delle parole rimaste.

La soluzione suggerita da Steve Krug francamente appare esagerata a chi è educato a leggere indipendentemente dal web, l’obiettivo però è quello di attirare l’attenzione anche di lettori abituati ad una lettura veloce, frammentaria e disordinata, pertanto il lettore va “catturato” con testi brevi, sintetici e concentrati.

Nel nostro caso brevitas non significa necessariamente sacrificare i contenuti dell’informazione ma saperli organizzare in modo efficace:

v  Concentrare i concetti più importanti all’inizio dello scritto. Il lettore spesso legge solo le prime righe e in ogni caso vuole capire fin da subito cosa sta leggendo e se rientra nei suoi interessi. Jakob Nielsen[2], guru della web usability consiglia l’ordine della cosiddetta “piramide rovesciata” ovvero iniziare dalla conclusione per scendere via via verso maggiori dettagli.  In pratica, la prima parte di un articolo deve essere un riassunto del contenuto, il resto del testo un approfondimento. In questo modo qualora la lettura venisse troncata a metà (ipotesi plausibile in rete!) l’utente avrà già incontrato i concetti principali. “In qualunque punto si fermi il lettore deve sempre aver letto le informazioni più importanti” (Nielsen, 1997).

Qualcuno mi si accusa di essere un po’ barocco nella scrittura e questa caratteristica non è adatta al web. Ormai però in pochi fanno caso allo stile di scrittura, perché i contenuti quasi non si leggono più, si “scorrono”. Se si ha una scrittura barocca come è a volte la mia, finisce che il lettore si annoia e non ti legge. Allora ho cominciato a scrivere a piramide rovesciata. Una volta si scriveva a candelabro cioè si partiva da concetti generali per arrivare al succo del discorso, con finale spesso imprevedibile. Ora che le informazioni si scorrono, il lettore vuole leggere subito la notizia più importante, alla fine avrà un'informazione parziale ma sufficiente: questa è la struttura a piramide.

Un testo lungo (un Saggio Web per esempio!) deve necessariamente essere diviso in paragrafi, ogni paragrafo deve essere dedicato ad un concetto, questo rende più leggero l’approccio visivo alla lettura e scoraggia di meno il lettore.

Pensate al ciclismo e più precisamente alla differenza tra una gara di un giorno (Milano-San Remo, Parigi-Roubaix) e una corsa a tappe (Giro, Tour, Vuelta) e ai vostri lettori come a dei ciclisti. Ci sono quelli specializzati nelle corse di un giorno, per esempio i velocisti che, quando affrontano le corse a tappe, spesso si ritirano prima che comincino le frazioni di montagna, lettori web abituati alla velocità e alla brevità dell’informazione. Poi ci sono i corridori che prediligono le corse più lunghe, quelle le cui prove si dipanano in più giorni. Lettori di lungo corso, abituati a leggere saggi e lunghi articoli... abituati, appunto.



[1] Steve Krug è uno tra i più noti e rispettati esperti di Web Usability. Da anni con Circle.com lavora “dietro le quinte” conducendo test di usabilità per aziende come Apple, IBM, Netscape, AOL, Excite.

[2] Jakob Nielsen è uno scrittore, oratore e consulente. Ha conseguito un dottorato in design dell'interfaccia utente e informatica del Politecnico Danese. Nielsen ha lavorato nella Bellcore, nell'IBM, e come ricercatore senior alla Sun Microsystems. Nel 1991, quando il Web era ancora all'inizio, Nielsen correttamente predisse che gli ipertesti sarebbero stati il futuro del design dell'interfaccia utente e colse l'occasione per scriverne un libro, che ha aggiornato nel 1995 tenendo conto del successo del Web.

Nielsen è inoltre noto per le sue critiche (spesso severe) a siti popolari: l'informatico danese si è espresso contrariamente al fatto che questi presentino spesso elementi quali animazioni (come Flash) e grafiche tali da andare a scapito dell'usabilità, cosa particolarmente dannosa per i disabili. Nielsen continua a scrivere ogni quindici giorni in una newsletter sul web design e ha pubblicato vari libri sul soggetto.

domenica 11 aprile 2021

Sono fatto così... (2)


 Questa seconda puntata entrerà ancora di più nei dettagli di come è fatto un libro. Lasciatevi guidare dall’immagine e scoprirete come sono fatti i libri dalla testa ai piedi.

Testa - La parte superiore del libro.

Piede- La parte inferiore del libro.

Sguardie - Ovvero le “carte di guardia” o  “risguardi” o anche  “controguardie” sono dei fogli piegati in due parti che tengono incollati l’interno della copertina con i fascicoli del testo, diventando la prima e l’ultima pagina del libro stesso. Generalmente sono più resistenti delle altre pagine e possono essere bianchi, colorati o stampati a fantasia. 

In edizioni particolarmente curate possono sortire effetti particolarmente artistici.


Fascetta

Le fascette sono strisce di carta colorata che avvolgono alcuni libri. Di solito hanno colori sgargianti – rossi, gialli, arancioni – e contengono brevi frasi che hanno l’obiettivo di invogliare a comprare quei libri. In Italia sono molto diffuse, ma anche parecchio discusse e prese in giro – per esempio dal blog Fascetta nera – a causa della loro tendenza a spararle grosse, cioè a usare superlativi assoluti, azzardare paragoni improponibili, dare giudizi entusiastici e vantare numeri di vendita astronomici e irreali. Se la maggior parte degli editori continua a usarle – anche quelli seri – è perché evidentemente le fascette funzionano, e molti lettori, forse anche quelli più critici, ne sono segretamente attratti e credono a quello che promettono.

Sono utilissime come segnalibri! 


Taglio

Il “taglio” è la superficie del fascicolo dei fogli visibile a libro chiuso, ovvero la parte del libro non fissata con la rilegatura. Distinguiamo quindi tre tagli:

•        Superiore o di testa

•        Davanti o concavo

•        Inferiore o piede

Attualmente i tagli sono al naturale, ma nel passato venivano colorati, decorati in oro o cesellati per distinguere i libri religiosi o di valore.

Taglio colorato e taglio bianco

Unghia

L'”unghia” o “unghiatura” o “cassa” è la parte dei piatti del libro cartonato che sporge rispetto al fascicolo dei fogli del testo. Si chiama così perché consente di aprire il libro con la punta del dito facendo appunto leva sull’unghiatura. Anche se di minor rilievo, è presente in alcune brossure con alette.

Libro, sono fatto così... Puntata 1

Fonti:
Webnauta.it
tsd.altervista.org
treccani.it

Bled semestrale di informazione


venerdì 9 aprile 2021

La dieta di Rondelli: G come...

 


G come Grasso, poche sono le cose che mi sono chiare della vita umana, ma una è chiarissima: le cose che piacciono o fanno male, o sono peccato, o fanno ingrassare! E cosa, secondo voi, fa ingrassare più del grasso? 

Immaginate però di essere un motore senza l’olio… Grippereste! e allora ammettiamolo che senso ha la salciccia senza grasso? Il pollo senza la pelle? La cotenna senza il lardo? Non hanno senso… 

Il solito dietologo mi dice «togli la pelle al pollo arrosto prima di mangiarlo!» e io la tolgo, la metto nel bordo del piatto… mangio il pollo, “la parte edibile”, ripasso le ossa, fino a farle diventare lucide e brillanti, attacco i calletti… e c’è sempre la croccantissima pelle che mi guarda cercando di impietosirmi… ne stacco un pezzetto, di solito quello più “cicciotto”… lo porto alla bocca e nella mia testa esplode un coro che canta l’Hallelujah del Messiah di Händel, la mangio tutta… 

Pentimento? Neanche un po’… Hallelujah!!!

La dieta di Rondelli: A come...

La dieta di Rondelli: B come...

La dieta di Rondelli: C come...

La dieta di Rondelli: D come...

La dieta di Rondelli: E come...

La dieta di Rondelli: F come...


mercoledì 7 aprile 2021

Birignao? Ma che parola è birignao?



    Nel secondo anno delle elementari la mia maestra, la maestra Guarneri, si assentò per due settimane, in questo tempo fu sostituita da un supplente, non più giovanissimo, del quale non ricordo il nome. Non lo ricordo per il motivo particolare che vi spiegherò. 
    Era questo supplente “fissato” con il canto e i cori, soprattutto con i canti religiosi, diceva di volere fare di noi, una classe di seconda elementare, un coro migliore di quello della Cappella Sistina! Impresa comicamente impossibile e mai realizzata. 
    Un gruppo di bambini allegramente svogliati che, arrivati ad un certo punto, non i sa per quale motivo ha cominciato ad imitare nel canto il suono nasale tipico delle nonne quando cantano il rosario in dialetto. Questa cosa ha fatto impazzire il supplente che si è messo ad urlare: «Basta! cos’è codesto birignao?!». Apriti cielo! Il supplente diventò subito il “maestro Birignao”, il canto diventò sempre più nasale e tutti aspettavamo il momento del rimprovero. La fine delle due settimane di supplenza fu vista dal supplente come una liberazione. 
    Questo ricordo lontanissimo è affiorato leggendo “Il lusso della gioventù” di Gaetano Savatteri, dove mi sono imbattuto di nuovo in questa parola.

Passiamo la parola www.treccani.it/vocabolario/birignao

Birignào s. m. [voce onomatopeica]. – Nel gergo teatrale, dizione ridicola e artificiosa, con pronuncia nasale e con vocali finali prolungate, eccessivamente enfatica, tipica di alcuni attori di teatro, e talvolta anche di cantanti di musica leggera. Anche, estens., modo di parlare artificioso e innaturale: parlare col b.; affettare uno stucchevole birignao.

PS Il coro della Cappella Sistina può dormire sonni tranquilli...

Coro Cappella Sistina

martedì 6 aprile 2021

Casteltermini: il Miracolo di San Vincenzo - intervista a Maurizio Giambrone

 


Casteltermini: il Miracolo di San Vincenzo - intervista a Maurizio Giambrone

Qualche anno fa, verso la metà degli anni ’80, accadde a Casteltermini un fatto prodigioso. Un ragazzino, mentre giocava a nascondino con i suoi amici, imprudentemente cerco di nascondersi in un punto molto pericoloso, nello sperone di roccia più alto del paese, nella zona detta “di lu Cravaniu”. Improvvisamente perse l’equilibrio, andandosi a schiantare più di dieci metri sotto, sopra una tettoia che con gli anni si era ricoperta di massi. Miracolosamente rimase incolume.

 

Quel bambino, Maurizio Giambrone, oggi è un uomo, il padre di due splendide bambine, e poiché si dice che questo miracolo sia avvenuto grazie all’intercessione di San Vincenzo, come ultima parte di questo mio speciale dedicato a San Vincenzo Patrono di Casteltermini l’ho voluto intervistare.

 

Cosa ci facevi nel cosiddetto “Cravaniu”?

Era una normale giornata dei bambini di quei tempi e io stavo giocando a nascondino con i miei amici. Più precisamente stavo giocando a “Puma Libera Tutti”, avevo l'abitudine di nascondermi in un posto che dominava un luogo a picco, era una pietra che aveva dei buchi praticati dall'uomo proprio per utilizzarla come una scala. Io mi nascondevo lì e resistevo “appeso” per tantissimo tempo, finché tutti gli altri non fossero stati scoperti nei loro nascondigli, poi io uscivo da lì e “liberavo” tutti. Il gioco prevedeva che l'avversario non ti vedesse, quindi nascondendomi in quel punto inavvicinabile non potevo essere visto.

Il giorno dell'accaduto ero andato a nascondermi come sempre, nel frattempo però in uno dei buchi che utilizzavo come appoggio e dove ero solito mettere i piedi, era cresciuta una piantina di capperi. Quella piantina di capperi mi impediva la possibilità di mettere il piede comodamente. Probabilmente credendo di aver messo il piede nel giusto modo in realtà lo misi male. Questa manovra mi fece perdere l'equilibrio e caddi da più di 10 metri d'altezza.

Durante il volo urlai, perché avevo coscienza di stare per morire, ma poco prima della fine del volo ebbi una strana sensazione, ebbi cioè la sensazione che qualcuno mi stesse sostenendo, tenendomi come se io fossi un bambino piccolo tra le sue braccia. Non so dire cosa è accaduto con precisione… sta di fatto che nonostante l'impatto sopra una tettoia e in particolare l'impatto della mia nuca contro un grande masso,  non mi feci niente.


Mi fermai un attimo a riflettere, ero chiaramente incredulo, poi a poco a poco cominciai a controllare cosa mi fossi fatto. È chiaro che cercavo se avevo addosso delle tracce di sangue ma non ne avevo, cercavo di capire se avessi qualche osso rotto ma non ce n'erano. A quel punto la maggior difficoltà stava nell’essere ancora sospeso sopra questa tettoia a 3 metri da terra.

Chiamai un mio amico, che nel frattempo mi cercava, per dirgli di chiamare aiuto, di avvertire mio padre. Ahimè, il mio amico era balbuziente, quindi quando arrivò a casa mia riuscì a dire solo poche parole: Maurizio è caduto. Poi non è riuscito a dire altro. Nel frattempo era tornato il mio fratello maggiore, il quale, scavalcati la recinzione e il muro di cinta, mi ha aiutato a scendere dalla tettoia. Poi, aprendo dall'interno il posto dove teneva le capre un certo zio Paolino, riuscimmo ad uscire.

Ad attendermi c'era una folla di circa 60 persone che si era raccolta per vedere cosa fosse accaduto. La gente mi toccava come se fossi una reliquia, perché ero miracolosamente incolume. Tutti cominciarono a invocare San Vincenzo, alcuni recitavano il rosario di San Vincenzo in dialetto, insomma le persone gridarono subito al miracolo avvenuto per intercessione di San Vincenzo.


Come questo episodio ha cambiato la tua vita?

Quando è accaduto questo episodio avevo circa 10 anni…

In un primo tempo la mia vita non è cambiata molto, anzi se proprio devo dire la verità ero un bambino e il vedermi additato come il bambino miracolato dalle persone, e questa cosa si protrasse per quasi un anno, mi dava un certo fastidio. Mi sentivo osservato in qualsiasi posto io andassi.

A circa 17 anni però cominciai a sentire sempre più forte la chiamata del Signore. Quasi ne cominciai a udire le parole e il timbro della voce, proprio come accadde a San Vincenzo. Io dei miracoli di San Vincenzo all'epoca dell'accaduto non ne sapevo niente, ho scoperto solo successivamente che due Miracoli di San Vincenzo erano simili a quello che è accaduto a me.

Io ho continuato in questa mia chiamata e ho seguito il Signore. Ci sono stati dei momenti difficili per esempio quando il Signore mi indicava di andare a fare volontariato nelle carceri… io a questa cosa quasi avrei voluto sfuggire. Però la richiesta del Signore era veramente forte e io l’accettai. Così come successivamente il Signore mi ha spinto a fare volontariato a favore dei bambini bisognosi.

Cominciai così anche a testimoniare questo miracolo, allo stesso modo di Vincenzo che ha testimoniato con la sua vita il suo amore per Cristo. Io, dai diciassette anni in poi, mi sono sentito chiamato a testimoniare questo miracolo. Chiaramente sono cosciente del fatto che il miracolo è fatto da Dio e che i santi sono solo gli intercessori. Nel mio caso il miracolo lo fa Dio per intercessione di San Vincenzo. Mi sono sentito chiamato da Dio a testimoniare questo evento straordinario.

Subito dopo questa chiacchierata ci siamo recati sul luogo dell'accaduto, ho cercato di riportare con delle immagini l'altezza dalla quale è caduto Maurizio, il punto dove è andato ad impattare sembra molto di più alto di 10 m., sembrerebbe quasi di 15 metri.

 

La cosa che colpisce di più di questa storia è la semplicità con la quale Maurizio racconta l'accaduto, una naturalezza che mette i brividi. Anch'io ho provato a salire per vedere meglio la roccia, ma ahimè soffrendo di vertigini sono subito dovuto ridiscendere, ma vi assicuro che il salto crea una forte impressione.

Prima puntata: Casteltermini e il suo Santo Patrono

Seconda puntata: Perché San Vincenzo Ferrer(i) è il Santo patrono di Casteltermini?

Terza puntata: Il miracolo dell'acqua

Quarta puntata: San Vincenzo Ferreri... una ricchezza da riscoprire

Quinta puntata: San Vincenzo, ‘U Cravaniu e il miracolo delle ali

lunedì 5 aprile 2021

San Vincenzo, ‘U Cravaniu e il miracolo delle ali

 


Racconta il Cav. Francesco Lo Bue che gli abitanti della parte più alta di Casteltermini, quella che oggi chiamiamo comunemente ‘U Cummentu, già nel 1629, anno di fondazione, per fare un omaggio al fondatore, costruirono una chiesetta che dedicarono a San Vincenzo.

Fu costruita nella parte più alta perché potesse essere vista da ogni luogo e affinché da quella posizione il Santo potesse vigilare meglio sui suoi protetti.

Ci racconta ancora Francesco Lo Bue:

“La gente dopo qualche tempo cominciò a chiamare quella chiesetta «la Chisidda di lu Cravaniu», perché dallo stesso anno in cui fu costruita, e cioè dal 1629, fino al 1640, su quelle rocce si svolse ogni anno, per il Venerdì Santo, la crocifissione di Gesù'. […] Nella chiesetta, che non è certamente più quella che venne costruita inizialmente, vi si conserva da tempo, una statua di formato ridotto (m. 1,25) raffigurante San Vincenzo Ferreri”.

Nel muro laterale della piccola chiesa si trova una lapide in marmo bianco, con incisa la seguente scritta: “Per voto e largizione delle sorelle Giuseppina e Vincenzina Severino nel primo anno del secolo XX questo Tempio fu eretto”.

Immagine di Francesco Mondello


Persone ancora viventi nel 1985, quando fu pubblicato “Uomini e fatti di Casteltermini”, abitanti nel quartiere, sostengono che al posto di questo «tempio» esistette una antica edicola, che dopo circa 270 anni, e cioè nel 1901, dovette essere ricostruita interamente. Ed è ciò che fecero le benemerite signorine Severino, che anziché riparare quella preesistente, preferirono costruirla tutta nuova.

Si racconta, lo fa mirabilmente Nicola Palmeri nel suo “Le Ali di San Vincenzo”, che una volta, in un periodo imprecisato, finita la festa, nel ricollocare la statua di San Vincenzo nella Chiesa Madre, chi di dovere dimenticò di “smontare” le ali al Santo. A San Vincenzo non sembrò vero che gli fosse stata concessa la libertà di volare e, con lo scopo di meglio svolgere il suo compito di Santo Protettore, se ne tornò sull’altura dove è collocata la chiesetta di San Vincenzo. Il giorno dopo gli sbigottiti abitanti del paese appresero, prima della sparizione e poi del ritrovamento a ‘U Cravaniu della statua di San Vincenzo.

La storia, se vera, fu probabilmente opera di allegri buontemponi. Da quel momento però tutti i membri dei comitati che si sono succeduti si sono sempre assicurati che, alla fine dei festeggiamenti, le ali fossero state tolte e deposte in luogo sicuro.


Casteltermini: il Miracolo di San Vincenzo - intervista a Maurizio Giambrone

Prima puntata: Casteltermini e il suo Santo Patrono

Seconda puntata: Perché San Vincenzo Ferrer(i) è il Santo patrono di Casteltermini?

Terza puntata: Il miracolo dell'acqua

Quarta puntata: San Vincenzo Ferreri... una ricchezza da riscoprire

Quinta puntata: San Vincenzo, ‘U Cravaniu e il miracolo delle ali

Sesta puntata: Casteltermini: il Miracolo di San Vincenzo - intervista a Maurizio Giambrone

domenica 4 aprile 2021

San Vincenzo Ferreri... una ricchezza da riscoprire

 Le “immaginette sacre” o i “santini”, come più comunemente sono chiamati, ci portano a riflettere sul tema della devozione popolare. Se la dedicazione delle chiese e degli altari, se le immagini e le statue che li arricchivano erano la proposta ufficiale del modello di santità sul quale riflettere e da imitare, i santini sono stati (anche o forse soprattutto) gli strumenti di propagazione della devozione in mezzo al popolo e la testimonianza di una fede vissuta nella dimensione personale.

I simboli dei cosiddetti santini veicolano storia, miracoli, tradizioni e leggende dei Santi attraverso il linguaggio iconico. Per questo sono contrario alla sostituzione dei santini “classici”, non me ne vogliano i comitati, con le immagini fotografiche delle statue che localmente li rappresentano. Si sfiora l’idolatria e si perde quasi tutto il valore iconografico… nel caso di San Vincenzo Ferreri cosa ci siamo persi?

Analizziamo l’iconografia del nostro San Vincenzo Ferreri

L’iconografia San Vincenzo Ferreri è tra le più varie. Infatti essendo molti i luoghi in cui è venerato,  lo ritroviamo spesso con attributi iconografici insoliti.

Tuttavia l'iconografia tradizionale lo vuole rappresentato in abiti domenicani, che abbia la tonsura, con un braccio alzato che indica l'alto, una fiammella spicca sul suo capo, un paio di ali stanno alle sue spalle, un angelo suona una tromba, un cartiglio con il motto " Timete Deum et date illi honorem quia venit hora judicius eius...Temete Dio e dategli gloria, poiché è giunta l'ora del suo giudizio", Ap. 14, 7) ", un libro, un giglio.

L'abito domenicano

L'abito domenicano è segno della sua appartenenza ai figli di San Domenico. Nella biografia del Santo si narra che già dal ventre materno era predestinato a tale vita religiosa tanto che con visioni e miracoli questa profezia si mostrò alla madre ancor prima che nascesse.

La tonsura

La tonsura è segno della consacrazione nello stato clericale.

Il braccio alzato

A) Il braccio alzato ha due significati: A) deriva infatti dal famoso miracolo del muratore. Avendogli il priore proibito di fare miracoli, perché ne faceva troppi; Vincenzo cominciò a "contenersi". Un giorno passò da una via e vide un uomo che cadeva da una alta impalcatura, subito intercedette per lui e l'uomo fu fermato per aria, ma Vincenzo sapeva di non poter compiere miracoli così lo lasciò lì sospeso e con profonda umiltà andò a chiedere al Priore di poter intercedere affinché l'uomo fosse completamente salvo. Giunto sul luogo, il Priore incredulo, riconobbe la Santità di Vincenzo e gli consentì di salvare l'uomo.

B) il braccio alzato inoltre indica il Cielo come la vera meta e che tutte le grazie elargite provengano da lassù e non da lui.

La fiammella

La fiammella, oltre ad indicare lo Spirito Santo che lo illuminava, il sapere e la sapienza che lo caratterizzavano, ricorda il “dono delle lingue”. S. Vincenzo infatti fu un fervente predicatore, ma anche se parlava solo in spagnolo tutti lo comprendevano benissimo (come appunto gli Apostoli nel giorno della Pentecoste).

Il paio d'ali

Il paio d'ali ci ricorda le prediche infervorate di S. Vincenzo che lo facevano sembrare l'Angelo dell'Apocalisse, ma anche per la sua immensa bontà, un serafino. A Casteltermini le due ali del Santo sono legate ad un episodio “miracoloso” del quale parleremo in seguito.

L'Angelo con la tromba

L'Angelo con la tromba amplifica il messaggio del cartiglio-motto del Santo: l’annunzio imminente dell'Apocalisse. "Timete Deum et date illi honorem quia venit hora judicius eius...Temete Dio e dategli gloria, poiché è giunta l'ora del suo giudizio", Ap. 14, 7)

Il libro

Il libro è il Vangelo, attraverso cui S. Vincenzo invita alla conversione e alla sequela Christi. Alcune volte il libro è aperto e porta inciso in caratteri d'oro qualche passo del Vangelo. Più spesso nel libro, come avviene a Casteltermini,  si legge il motto del Santo.

La corona di gigli

Altro attributo (più raro) del Santo è la corona di gigli o di fiori bianchi, simbolo di purezza.

Prima Puntata - Casteltermini e il suo Santo Patrono

sabato 3 aprile 2021

Il miracolo dell'acqua di San Vincenzo Ferreri

 


Ho promesso che avrei parlato dei miracoli di San Vincenzo ma prima di farlo voglio ancora una volta sottolineare la saggezza e, nel caso che vado a narrare, l’arguzia del Santo. Il miracolo di oggi è un miracolo che si dovrebbe ripetere ogni giorno…

Una volta, si recò da San Vincenzo Ferreri una donna che si lamentava del marito sempre così irascibile e di malumore da rendere insopportabile la convivenza. Chiese a Vincenzo un consiglio per riportare la pace in famiglia. “Va’ al convento”, disse il santo, “e di’ al guardiano di darti un poco dell’acqua della fontana. Quando tuo marito tornerà a casa, prendine un sorso, però non inghiottirla, tienila in bocca e vedrai che miracoli farà!”.

La donna fece come il santo le aveva detto. La sera, quando il marito tornò a casa, nervoso come al solito, la donna prese un sorso di quell’acqua miracolosa e serrò le labbra. E veramente accadde il miracolo: dopo pochi minuti il marito si azzittì e, così, la tempesta in famiglia passò. Anche nei giorni successivi, la donna ricorse a questo rimedio e tutte le volte l’acqua provocò lo stesso effetto miracoloso. Il marito non era più di malumore, anzi, era tornato come una volta: le mormorava parole tenere e affettuose e la lodava per la sua pazienza e la sua dolcezza.

La donna era così felice di questo cambiamento del marito che corse dal santo per riferirgli del miracolo operato da quell’acqua speciale. “Non è stata l’acqua della fontana a provocare questo miracolo”, disse san Vincenzo Ferrer sorridendo, “ma soltanto il tuo silenzio. Prima le tue continue obiezioni facevano infuriare tuo marito; il tuo silenzio, invece, lo ha reso di nuovo tenero e affettuoso”.

Ancora oggi in Spagna esiste il modo di dire: “Bevi l’acqua di san Vincenzo!”. Chissà che effetto farebbe se anche noi, ogni tanto, ne prendessimo qualche sorso?


Prima puntata: Casteltermini e il suo Santo Patrono

venerdì 2 aprile 2021

Perché San Vincenzo Ferrer(i) è il Santo patrono di Casteltermini?

Perché San Vincenzo Ferrer(i) è il Santo patrono di Casteltermini? Se lo chiedono in molti. Eppure la risposta è molto semplice: perché Gian Vincenzo Maria Termini, il fondatore di Casteltermini, era in qualche modo imparentato con la nobile famiglia Ferrer quella di San Vincenzo, per cui, dopo una vicissitudine che proveremo a chiarire, si chiamò Termini e Ferrer anche la famiglia del fondatore di Casteltermini. In virtù di questa "presunta" parentela Gian Vincenzo Maria Termini volle che proprio San Vincenzo fosse il santo Patrono di Casteltermini, stessa sorte e stesso Patrono ebbe Calamonaci.

In un’epoca nella quale il blasone era fondamentale, particolarmente importante era il potere annoverare tra i propri avi un Santo. Figuriamoci se il  Santo in questione è San Vincenzo, appartenente alla nobile famiglia dei Ferrer, originaria di Valencia, famoso per la sua sapienza, che gli permise di essere il confessore di un Papa, e per la sua Santità, comprovata da tanti miracoli.



Quando la famiglia Termini aggiunge il cognome Ferrer? Per sapere questo si dovrebbe procede alla ricostruzione dell’albero genealogico del nostro Fondatore Gian Vincenzo Maria Termini. Poiché tutte le ricognizioni genealogiche sono particolarmente noiose cercherò di arrivare subito al punto…

…agli inizi del ‘Cinquecento, poco più di un secolo prima della fondazione di Casteltermini, Bernardino II Termini sposò la bella e nobile Giovanna De Marinis. Quest’ultima, dopo un’estenuante contesa con i suoi parenti, aveva ereditato la baronia di Birribaida da un suo parente, Ferrero de Ferrer, della famiglia del nostro San Vincenzo. Ferrero impose l’obbligo a tutti i Baroni successori, per primo a Bernardino II Termini, di aggiungere al proprio cognome quello di “Ferrer”.

Immagine di Francesco Mondello


Bisogna precisare ancora una volta come il poter vantare un santo nella propria famiglia fosse motivo di grande onore… i Termini (e Ferrer) si fecero subito vanto della presenza di San Vincenzo Ferrer nel loro albero genealogico e ne avviarono la venerazione in tutti luoghi da loro amministrati.

Attraverso la successione - Antonio II Termini e Ferrer - Antonio III Termini e Ferrer - Bernardino IV Termini e Ferrer – si arriva al nostro Gian Vincenzo Maria Termini e Ferreri e al suo desiderio di fare di San Vincenzo Ferrer(i) il Protettore di Casteltermini.


Di recente, quasi a voler rinsaldare simbolicamente il legame esistente tra il Santo Patrono San Vincenzo Ferreri e la famiglia Termini e Ferreri, il Corteo Storico di Casteltermini “Principi Termini e Ferreri”  ha sempre partecipato a tutti i festeggiamenti che si sono tenuti in onore di San Vincenzo Ferrer.

Prima puntata: Casteltermini e il suo Santo Patrono

Terza puntata: Il miracolo dell'acqua

Quarta puntata: San Vincenzo Ferreri... una ricchezza da riscoprire

Quinta puntata: San Vincenzo, ‘U Cravaniu e il miracolo delle ali

Sesta puntata: Casteltermini: il Miracolo di San Vincenzo - intervista a Maurizio Giambrone